Come è noto, si celebra in questa data la festa della Liberazione dal fascismo italiano e tedesco, evento fondatore della Repubblica italiana. Tuttavia, invece di seguire la retorica vuota dei partiti borghesi in proposito, cerchiamo di guardare ai fatti storici, al fine di trarre un vero insegnamento da tale grandiosa ricorrenza.
Nella primavera di 70 anni fa, in un’Italia schiacciata dal giogo fascista imposto dai collaborazionisti di Salò e dalle truppe naziste, mentre gli Alleati avanzavano verso Nord, i partigiani, uniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, liberavano le principali città, dando il segnale dell’insurrezione nazionale che si verificò il 25 aprile 1945. Nel frattempo a Berlino le armate sovietiche dilagavano, costringendo Hitler al suicidio e gli alti dignitari del regime nazista alla resa incondizionata. La guerra imperialista volgeva finalmente al termine, dopo aver causato 50 milioni di vittime.
Oggi festeggiamo questa insurrezione, decretata dal Comando Generale delle Brigate Garibaldi, braccio militare del Partito Comunista Italiano, dirette da Luigi Longo e Pietro Secchia, e fatta propria dal Comitato di Liberazione Nazionale tutto. La festeggiamo perché essa ha reso il popolo italiano protagonista della caduta del fascismo e non semplice spettatore del pur determinante aiuto alleato.
Facile è infatti mistificarlo in maniera interessata, ma possiamo dire senza paura di essere smentiti che la Resistenza fu una struttura social-militare che ebbe il suo architrave nel PCI. Altre correnti ideali e sociali genuinamente antifasciste contribuirono certo in maniera determinante, seppur minoritaria, alla Liberazione. Eppure, nelle odierne celebrazioni ufficiali – piene di consuetudini, frasi fatte e buone quanto ipocrite maniere istituzionali – il ruolo delle forze operaie nella Liberazione e nella nascita della Repubblica è sistematicamente occultato.
Questo perché la Liberazione è ormai banalizzata, e trasformata in una vaga festa della libertà, un generico appello alla pace e alla giustizia, al fine di depotenziarla facendone un’icona innocua, slegata dal contesto storico in cui si sviluppò, e quindi lontana dall’attualità. (D’altronde, oggi la Liberazione dal fascismo sarà celebrata da coloro che sostengono il Colpo di Stato fascista in Ucraina. Per questi signori si tratta solo di parole vuote, consensuali, a favore di telecamere e menzogne politicanti).
Di conseguenza la Costituzione, frutto politico della Liberazione, è diventata un pretesto buono per tutte le stagioni, alla quale si richiamano sia le forze di governo per smantellare in sordina i diritti sociali acquisiti grazie all’insurrezione, sia la sinistra radicale che esorta a « richiamarsi ai suoi valori » per ristabilire tali diritti.
Grande è la confusione sopra e sotto il cielo. Questa confusione è possibile – e per le classi dirigenti desiderabile – quando si dimentica la storia e non si sa leggere il presente.
Rapporti di forza e Costituzione
Lo Stato italiano si è costituito nella sua forma repubblicana in seguito alla Resistenza contro il fascismo che portò il mondo alla rovina. Quando si afferma che esso è nato dalla Resistenza, di cui la Liberazione è l’apogeo, e che la Costituzione di questo Stato è antifascista, non si fa che registrare il peso delle forze operaie e comuniste nella nascita dello stesso, in virtù del loro contributo determinante alla lotta di liberazione.
Ebbene, fu questa lotta concreta, e non vaghi appelli a una generica libertà, a determinare la nascita della Repubblica fondata sul lavoro. Fu un’epoca in cui le forze operaie, strutturate in solide organizzazioni di massa, contribuivano attivamente a fondare la Repubblica facendo da contrappeso alla borghesia uscita a pezzi dalla guerra, ma pur sempre depositaria del potere economico. Un’epoca in cui il proletariato italiano entra per la prima volta nell’arena politica con le proprie autonome rivendicazioni, in cui strappa con la lotta importanti concessioni alla borghesia. Un’epoca di progresso sociale dunque, pur in regime capitalista.
Questo equilibrio di forze era registrato nella Costituzione della « Repubblica democratica » fondata sul « Lavoro ». Questi due termini, lungi dall’essere vuota retorica come lo sono oggi, incarnavano le due forze che strutturavano il Paese e la sua aspirazione a lungo termine: Repubblica democratica, borghese per eccellenza, ma fondata sul Lavoro, cioè tendente al socialismo.
La verità è che oggi la Costituzione non è più di attualità poiché l’equilibrio tra le classi registrato all’epoca dalla Carta è da tempo scomparso. La borghesia domina ormai incontrastata e di fatto la Costituzione è lettera morta. Non può non esserlo, nelle attuali condizioni sociali e economiche, dati i cambiamenti economici occorsi dagli anni ’80 in poi, quando il Paese inizia a fare i conti con un’impetuosa concentrazione della produzione e della ricchezza, col conseguente impoverimento delle classi lavoratrici e l’indebolimento delle organizzazioni operaie.
Ne risulta che la Costituzione del ’48 è al giorno d’oggi impossible da attuare poiché da una parte le forze sociali di produzione vanno in direzione ostinata e contraria, dall’altra non esiste alcun soggetto politico in grado di attuarla realmente nei suoi principi esplicitamente socialisti.
Questa è la situazione per le forze progressiste legate idealmente alla Liberazione, di cui bisogna prendere realisticamente e lucidamente atto. I rapporti di forza tra le classi che conseguono dai cambiamenti economici, se ben analizzati, non consentono difatti un richiamo alla Costituzione, se non in maniera puramente idealistica e illusoria. Quindi reazionaria. Inseguire l’utopia dell’attuazione della Costituzione porta il movimento operaio italiano a un vicolo cieco, o peggio, all’abbandonarsi alle promesse dei partiti borghesi, ormai senza complessi nell’idolatrare una Carta che sanno non attueranno mai nei suoi principi progressisti, quelli della Repubblica fondata sul Lavoro e dei diritti economici iscritti negli articoli 35-47 e sempre disattesi.
La Costituzione è un bel ricordo vivo nel cuore progressista degli italiani, riflesso giuridico, per sua natura temporaneo, di un’esperienza storica – la Liberazione – creatrice e dinamica, dalla quale possiamo ancora attingere validi insegnamenti da adattare alle nuove condizioni socio-economiche, politiche e culturali del Paese. Esse non consentono trionfalismi o romanticismi intorno alle vecchie rivendicazioni, poiché oggi le forze dei lavoratori sono piegate e da ricostruire mentre il Capitale domina incontrastato. Nuove rivendicazioni avanzano.
Il 25 aprile è morto, viva il 25 aprile !
[…] tale società sta prendendo origine uno Stato nuovo. Dalla Repubblica fondata sul Lavoro, che riusciva, pur tra enormi difficoltà, a far ricadere qualcosa sui lavoratori, si passa alla […]
[…] interrogarsi su come fermare questo processo (ritornare ai buoni vecchi tempi andati è infatti un obiettivo oggettivamente retrogrado, di certo idealista e romantico poiché non corrisponde alle condizioni odierne di sviluppo) […]