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La Comune di Parigi e i giudizi dei contemporanei

Comune di Parigi

Pochi giorni fa ricorreva l’anniversario dell’instaurazione della Comune di Parigi. Sono passati centocinquantanni da quando il proletariato parigino insorse – a seguito della sconfitta francese nella guerra franco-prussiana – contro la dittatura della borghesia, prostrato dalla situazione disastrosa nella quale il tragicomico epigono di Napoleone, il nipote, Luigi Bonaparte, aveva trascinato la nazione. Così Engels tratteggiava il regno dell’ultimo Bonaparte:

Luigi Bonaparte tolse ai capitalisti il potere politico col pretesto di proteggerli: di proteggere la borghesia contro gli operai, e d’altra parte, di proteggere gli operai contro i borghesi: ma in compenso il suo governo favorì la speculazione e l’attività industriale; in una parola, favorì l’incremento e l’arricchimento della borghesia nel suo assieme, in modo fino allora sconosciuto. In proporzione anche maggiore, è vero, si svilupparono la corruzione e il furto in massa, che avevano il loro centro nella corte imperiale e che ricavavano le loro alte percentuali dall’arricchimento della borghesia. Ma il Secondo Impero fu l’appello allo sciovinismo francese, fu la pretesa di riavere i confini del Primo Impero perduti nel 1814, o almeno quelli della prima repubblica.[1]

Dopo la disfatta del Secondo Impero la borghesia, nel settembre del 1870, prese direttamente le redini del governo instaurando quella passata alla storia come terza Repubblica. Sottolineando, con Engels, come il secondo impero avesse fatto appello allo sciovinismo fra la borghesia e il popolo francese, è chiaro che la risposta della Rivoluzione comunarda assume un significato ancora più profondo. Oltre al tentativo, pur imperfetto, di instaurare un nuovo ordine sociale, rovesciando quello borghese, la Comune di Parigi si configurò come l’ultimo baluardo della difesa della Francia contro la reazione che aveva messo prussiani e truppe versagliesi (del governo di Thiers), prima nemiche, fianco a fianco nella repressione anti-popolare. E se, come ricorda Lenin: “Nell’unione di compiti contraddittori – patriottismo e socialismo – consistette il fatale errore dei socialisti francesi”, la resistenza della Comune contro la reazione borghese andò ben oltre qualsivoglia tentazione patriottica che pure aveva animato una parte di piccola-borghesia che inizialmente si era mostrata solidale verso i comunardi. Il significato della resistenza comunarda fu, come chiarisce sempre Lenin:

…il piú grande esempio del piú grandioso movimento proletario del XIX secolo. Marx apprezzò altamente l’importanza storica della Comune: se, durante la proditoria incursione della banda versagliese per impadronirsi delle armi del proletariato di Parigi, gli operai se le fossero lasciate prendere senza combattere, il significato negativo della demoralizzazione suscitata da una simile debolezza del movimento proletario sarebbe stato di gran lunga più grave del danno dovuto alle perdite che la classe operaia subì nella battaglia per difendere le proprie armi. Per quanto grandi fossero stati i sacrifici della Comune, essi furono compensati dalla sua importanza per la lotta proletaria in generale: la Comune risvegliò il movimento socialista in tutta l’Europa, mostrò la forza della guerra civile, dissipò le illusioni patriottiche e distrusse la fede ingenua nelle aspirazioni nazionali della borghesia. La Comune insegnò al proletariato europeo a stabilire concretamente gli obiettivi della rivoluzione socialista[2].

La Comune dimostrò al mondo intero che attraverso la guerra civile rivoluzionaria, attraverso l’instaurazione del potere popolare, della dittatura del proletariato, si poteva e doveva affrontare la lotta di classe e non solo per l’emancipazione del proletariato nazionale, ma dell’intera umanità. La scarsa implementazione delle misure necessarie volte a rafforzare il potere rivoluzionario, le eccesive cautele dimostrate contro i nemici di classe, le contraddittorie misure economiche – all’epoca fra i socialisti francesi dominavano le fallimentari idee economiche proudhoniane – furono fra le cause principali della disfatta.

Cionondimeno la Comune introdusse tutta una serie di misure progressive mai viste fino ad allora,  misure popolari che non avrebbero potuto non suscitare un moto di rispetto e riconoscimento in tutti coloro che si identificavano come progressisti, socialisti e che guardavano (anche solo a parole) positivamente alla causa dell’emancipazione della classe operaia. Se, come si è potuto intuire, lo slancio eroico dei comunardi venne omaggiato, nonostante le critiche costruttive, da Marx ed Engels, così come da personaggi di orientamenti diversi da Bakunin a Mazzini, come fu interpretato questo generoso tentativo rivoluzionario  – soffocato in un bagno di sangue, fra i più terribili del XIX secolo –  di instaurare un ordine nuovo, di superare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, da parte degli intellettuali e artisti francesi dell’epoca?

Se fra i più reazionari dei letterati è comprensibile l’astio brutale nei confronti della “canaglia” che offendeva la sacra e civile Parigi molto meno lusinghiere, per chi l’espresse, appaiono le condanne da parte degli intellettuali “progressisti”. Costoro, che raccoglievano lo spirito peggiore dello sciovinismo piccolo-borghese, accusavano delle proprie turpitudini morali e politiche i comunardi sconfitti e massacrati.

Le opinioni dei letterati contemporanei

In questo modo, ad esempio, si comportava la famosa scrittrice di orientamento “progressista” George Sand. Discendente di una famiglia cadetta della piccola nobiltà, decaduta dopo la rivoluzione e passata in massa al bonapartismo per meriti militari paterni, la Sand crebbe nell’agio. Nonostante ciò un carattere anticonformista in gioventù la portò ad allontanarsi, parzialmente, dal mondo familiare abbracciando una vita potremmo dire “bohemienne”, avvicinandosi politicamente alle istanze socialiste, tanto da definirsi, nel ’48, una “comunista”. Tuttavia, ai tempi della Comune, in età ormai avanzata, aveva abbracciato pienamente le istanze della borghesia reazionaria di Thiers, così dalle colonne del giornale Temps, infamava i comunardi addossando loro le sue stesse vergogne:

Il movimento è stato organizzato da uomini già iscritti ai ranghi della borghesia che non appartenevano più alle abitudini e alle necessità del proletariato. Questi uomini sono stati mossi da odio, dall’ambizione decaduta, dal patriottismo malinteso, dal fanatismo senza ideali, della superficialità dei sentimenti o dalla cattiveria naturale.[3]

Lo scrittore Émile Zola, trentenne all’epoca, pur essendo un oppositore alla guerra di Napoleone III e ardentemente repubblicano fuggiva dalla Parigi rivoluzionaria verso le sottane dei prussiani che circondavano la capitale. Più tardi scriveva della Comune nel suo romanzo “La Debacle”:

In questa popolazione, impazzita a causa dei mesi d’angoscia e di carestia, caduta ormai in un ozio pieno di incubi, devastata dai sospetti, davanti ai fantasmi che essa stessa creava, l’insurrezione cresceva così naturalmente, si organizzava in pieno giorno. Era una di quelle crisi morali che abbiamo potuto osservare in seguito a tutti i grandi assedi, l’eccesso di patriottismo deluso che, dopo aver invano infiammato gli animi, si tramuta in un cieco bisogno di vendetta e di distruzione[4].

Nessuna pietà per la sorte dei comunardi arrivava dal provincialismo reazionario di Flaubert che scriveva:

Trovo che si sarebbe dovuto condannare alle galere tutta la Comune e forzare questi sanguinari imbecilli a spalare le rovine di Parigi, con una catena al collo, come forzati. Ma ciò avrebbe ferito l’umanità. Si è teneri coi cani rognosi, ma non con chi è stato morso[5].

Esprimendosi così, sul suffragio universale, in una lettera alla Sand:

Il primo rimedio sarebbe di finirla col suffragio universale, la vergogna dello spirito umano. Per come è concepito, un solo elemento prevale a detrimento di tutti gli altri: il numero domina lo spirito, l’istruzione, la razza e persino il denaro che è meglio del numero. […] In una società anononima industriale ogni azionista vota in ragione del proprio apporto. Dovrebbe essere così nel governo di una nazione. Io valgo almeno venti elettori di Croisset[6].

Ma se questo era il tenore delle opinioni negli uomini e donne di lettere ostili alla Comune, dall’altro lato vi erano anche degli esempi di intellettuali che, pur provendendo da un milieu borghese o piccolo-borghese, e pur non essendo completamente d’accordo con i principi o che le tattiche che animavano la rivoluzione non poterono chiudere gli occhi davanti ai massacri della brutale repressione del regime di Thiers; pertanto non esitarono a prendere le parti dei comunardi anche quando questo era causa di ostracismo e persecuzione. Questo fu, per esempio, il caso di Victor Hugo. Il celebre scrittore, pur essendo di condizione borghese non fece mai mistero delle sue idee politiche liberali ed ostili alla monarchia bonapartista, tanto da passare decenni in esilio durante la dittatura di Napoleone III, a differenza dei “progressisti” Sand e Zola, espresse una dura condanna sui metodi attuati dalla neo-instaurata terza Repubblica, descrivendo dalle pagine dei giornali le sofferenze terribili infliette ai condannati e difendendone le sorti e l’onore.

L’8 novembre del 1871 il giornale Le Rappel pubblica in prima pagina una lettera di Victor Hugo[7] a Léon Bigot, avvocato di Gustave Maroteau, direttore del giornale La Montagne condannato a morte il 2 ottobre 1871 dal Terzo Consiglio di Guerra (quello che giudicava i membri della Comune), per i suoi articoli scritti durante la Comune[8]. La lettera di Hugo è in realtà una più generale e appassionata difesa dei comunardi e un attacco alla repressione politica cieca che si abbatteva sui sopravvisuti ai massacri della Settimana di sangue, così scrive Hugo:

Un uomo condannato a morte per un articolo di giornale, non si era mai visto [La pena di morte per motivi politici era stata abolita nel 1848 n.d.t]. Lei chiede che venga risparmiata la vita a questo condannato. Io lo chiedo per tutti. Chiedo venga risparmiata la vita a Maroteau; chiedo venga risparmiata la vita a Rossel, a Ferré, a Lullier, a Crémieux; chiedo venga risparmiata la vita a queste tre sfortunate donne, Marchais, Suétens e Papavoine, pur riconoscendo, con la mia debole intelligenza, che è provato che esse abbiamo indossato delle sciarpe rosse, che Papavoine è un nome orribile, e che siano state viste sulle barricate, per combattere, secondo i loro accusatori, per soccorrere i feriti, secondo loro.

E più avanti, denuncia la criminalizzazione dell’esperienza della Comune operata dai tribunali e dall’opinione pubblica che trattano gli imputati da delinquenti comuni, tracciando un parallelo con la Rivoluzione francese:

Agli occhi di coloro per i quali l’apparenza dell’ordine è sufficiente, le condanne a morte hanno un vantaggio; fanno calare il silenzio. Non sempre. È pericoloso produrre violentemente una falsa calma. Le esecuzioni politiche prolungano sottotraccia la guerra civile. Ma mi è stato detto: – Questi esseri miserabili, la cui condanna a morte ti preoccupa, non hanno niente a che fare con la politica, su questo tutti sono d’accordo; sono delinquenti volgari, colpevoli di misfatti ordinari, previsti dalla legge penale di ogni tempo. […] Certo, se la Chambre introuvable, parlo di quella del 1815, fosse arrivata vent’anni prima, e se il caso l’avesse resa vittoriosa sulla Convenzione, avrebbe trovato ottime ragioni per dichiarare la Repubblica una scelleratezza; il 1815 avrebbe dichiarato il 1793 soggetto alla pena ordinaria […] avrebbe visto in Danton un macellaio, in Camille Desmoulins un istigatore all’omicidio, in Saint-Just un assassino, in Robespierre un vero e proprio criminale; avrebbe gridato a tutti costoro: non siete dei politici! E l’opinione pubblica avrebbe detto: è vero! fino al giorno in cui la coscienza umana avrebbe detto: è falso! Non basta che un’assemblea o un tribunale, anche facendo tintinnar le sciabole, dica: – Una cosa è – perché sia. […] Intendo mantenere il senso delle proporzioni, e non equiparo i condannati di oggi ai giganteschi combattenti di ieri che su questo punto: anch’essi sono combattenti rivoluzionari; anch’essi possono essere incolpati solo di fatti politici; la storia sgomberà per loro il campo da questi giudizi, delitti comuni, crimini ordinari; e infliggendogli la pena capitale, noi cosa facciamo? Ripristiniamo il patibolo politico. Ciò è spaventoso.

Naturalmente Hugo non era il solo. Ad esempio i due più importanti poeti “maledetti”, Verlaine e Rimbaud, nelle loro azioni e nelle loro liriche espressero la loro simpatia verso la Comune e i comunardi. Verlaine era impiegato al municipio di Parigi quando scoppiò la rivoluzione e continuò nelle sue funzioni anche quando essa irruppe tormentando le tranquillità borghesi. Verlaine all’epoca era collega e amico di Jules Andrieu, Capo del Personale dell’amministrazione di Parigi, repubblicano con molte amicizie nell’ambiente rivoluzionario; Adrieu divenne dirigente comunardo di primissimo piano come Delegato ai Servizi Pubblici della Comune e sarà costretto poi a fuggire a Londra durante la repressione. Nelle sue Confessions, in merito alla Comune, Verlaine così si esprime:

Avevo fin dall’inizio amato, compreso, credo, e in ogni caso ben simpatizzato con questa rivoluzione[9]

Nelle sue future peregrinazioni a Londra è proprio grazie alla raccomandazione di Andrieu – autore di una celebre memoria Notes pour servir à l’histoire de la Commune de Paris scritta a caldo nel 1871[10] e con tutta probabilità conosciuta dallo stesso Marx –che Verlaine si iscriverà al “Circolo degli studi sociali di Londra”, un club di rifiugiati politici comunardi, creato da Lissagarray e Vallès, del quale era membro anche Marx[11]. Per quanto riguarda Rimbaud, sedicenne nel 1871, non è provato che abbia frequentato Parigi nei mesi della Comune, benché esista qualche evidenza che pare andare in tale direzione[12]. Tuttavia, è provato che fosse anch’egli in relazione stretta con la rete dei comunardi in esilio a Londra, ancora tramite Jules Andrieu che Rimbaud conobbe grazie a Verlaine; a testimonianza di questa prossimità tra il dirigente comunardo e Rimbaud vi è una lettera inviatagli da quest’ultimo da poco riscoperta[13]. In ogni caso, anch’egli fa parte dei pochi scrittori che celebrarono l’insurrezione parigina, con due poesie in particolare: Les mains de Marie-Jeanne, elogio dell’azione rivoluzionaria delle donne sotto la Comune scritto nel 1872; e Chant de guerre parisien, le lodi della primavera rivoluzionaria di Parigi dove si scaglia contro i versagliesi, scritta nel Maggio 1871.

Negli anni 1871-1874, Rimbaud e Verlaine, dunque, frequentarono i circoli dei giornalisti rivoluzionari. Ciò è tanto più significativo, nel senso di una loro simpatia verso la Comune e della loro buona fede, dal momento che la stragrande maggioranza degli scrittori infieriva verso i comunardi sconfitti infangandone le azioni o invocandone i supplizi.

Conclusioni

Questa breve illustrazione di opinioni di intellettuali e letterati sulla Comune ci fornisce alcuni elementi di riflessione. Se, come si può immaginare, l’origine borghese di molti di costoro può essere considerata come la ragione principale del loro odio nei confronti del movimento rivoluzionario, questo tipo di atteggiamenti ostili da parte dell’“intellighenzia” progressista (e non), sono ravvisabili anche in circostanze posteriori. L’egemonia culturale borghese, oggi come allora, condiziona in una rilevante misura il dibattito e la formazione della cosiddetta opinione pubblica nei confronti dei movimenti di emancipazione dell’umanità. Il movimento operaio, così come i comunisti, nonostante i limiti e le difficoltà, deve condurre una battaglia senza remore contro le concezioni retrive che la borghesia e i suoi lacchè portano avanti ad ogni livello.

“Studiare, studiare e studiare”, diceva Lenin. Studiare da una giusta prospettiva di classe gli avvenimenti storici non è un’operazione oziosa, ma un tassello fondamentale della lotta quotidianamente in corso. Saper essere criticamente pronti a rispondere alle demonizzazioni che la classe dominante non risparmia alla storia – così come alle azioni rivoluzionarie contemporanee – del movimento operaio e alle sue conquiste: dalla rivoluzione comunarda alla rivoluzione d’Ottobre, così come la vincente edificazione del socialismo (vedendo la figura di Stalin come bersaglio privilegiato dell’opera di demonizzazione, che dalla figura del dirigente, poi, ricade sull’intero periodo) etc. Prepararsi a questa lotta è un imperativo che ogni comunista non può trascurare, poichè essa è una battaglia culturale fondamentale che si innesta nel più ampio moto della storia, inevitabilmente condizionato dalla lotta di classe.


[1] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1871/gcf/introduzioneengels.htm

[2] https://www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/mdclgc17-017648.htm

[3] In Paul Lindsky, Les écrivains contre la Commune, La Découverte, 2010, Paris

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Ibidem

[7] Lettera di Hugo http://lettres.ac-rouen.fr/peinemort/bigot.html; https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k75364013/f1.item

[8] L’articolo che causò la condanna a morte di Maroteau https://macommunedeparis.com/2016/11/22/les-chiens-mordront-les-eveques-un-article-de-gustave-maroteau-dans-la-montagne/

[9] Citato in https://www.editionslibertalia.com/catalogue/ceux-d-en-bas/notes-pour-servir-a-l-histoire-de-la-commune-de-paris

[10] https://www.editionslibertalia.com/catalogue/ceux-d-en-bas/notes-pour-servir-a-l-histoire-de-la-commune-de-paris

[11] https://dissidences.hypotheses.org/articles-inedits/une-lettre-inconnue-darthur-rimbaud#sdfootnote9anc

[12] https://www.persee.fr/doc/rbph_0035-0818_1952_num_30_1_2132

[13] https://www.franceculture.fr/histoire/quand-rimbaud-ecrivait-aux-communards-cette-facette-ignoree-du-poete;

https://dissidences.hypotheses.org/articles-inedits/une-lettre-inconnue-darthur-rimbaud#sdfootnote9anc

https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/060119/paradoxal-silence-autour-de-la-decouverte-dune-lettre-de-rimbaud

 

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