La vittoria del movimento dei contadini indiani contro il governo conservatore di Modi e le sue riforme liberali merita un approfondimento. Vi proponiamo la traduzione di un articolo apparso su una testata indipendente con sede a Delhi che fa una accurata cronaca politica degli eventi recenti.
di Ajoy Ashirwad Mahaprashasta
In quella che sarà salutata d’ora in poi come una grande vittoria del movimento dei contadini che dura ormai da un anno, il primo ministro Narendra Modi venerdì mattina ha annunciato la decisione del suo governo di abrogare le tre controverse leggi agrarie. Il governo dell’Unione fino ad ora era stato implacabile, con addirittura Modi stesso che in Parlamento chiamava sprezzantemente gli agricoltori che protestavano “andolan jeevi (quelli che vivono di agitazioni)”. La macchina del BJP [Bharatiya Janata Party, “Partito del Popolo Indiano”, conservatore n.d.t] ha tentato di bollare la mobilitazione dei contadini come fosse guidata dai separatisti Khalistani[1] e finanziata da gruppi terroristici.
Gli agricoltori, tuttavia, sono rimasti irremovibili nel loro impegno a rivendicare la completa abrogazione delle leggi agrarie, che ritengono “pro-aziende” e “anti-contadini”. Contrariamente alle affermazioni del governo secondo cui gli agricoltori sono stati consultati prima che le leggi fossero approvate, i gruppi di protesta hanno ricordato all’opinione pubblica che tali leggi sono state introdotte per la prima volta attraverso le ordinanze nel giugno 2020, una procedura da loro ritenuta come un’imposizione surrettizia della nuova legislazione.
In ogni fase delle mobilitazioni, il governo guidato dal BJP ha tentato di schiacciare il movimento contadino, l’episodio più orribile è stato il modo in cui i contadini in agitazione sono stati falciati a Lakhimpur Kheri, nell’Uttar Pradesh, da un convoglio di auto che presumibilmente coinvolgeva il figlio del ministro degli Interni Ajay Mishra.
Più di 600 contadini sono morti durante le manifestazioni, molti gli arrestati e imputati in base a leggi draconiane. Il governo ha usato il suo apparato poliziesco per cercare di stroncare il movimento. I villaggi di Singhu e Tikri, alle porte di Delhi, dove gli agricoltori organizzavano manifestazioni, sono stati praticamente trasformati in prigioni a cielo aperto. Dopo la marcia degli agricoltori per la Festa della Repubblica all’inizio di quest’anno, la polizia si è scagliata pesantemente contro alcuni dei dirigenti dei contadini. Tuttavia, gli agricoltori sono rimasti fermi nella loro risolutezza a continuare con le proteste. Tale è stata la loro determinazione che la repressione del leader del Sindacato dei contadini indiani, Rakesh Tikait[2], dopo la marcia della Festa della Repubblica nella città di Ghazipur nei dintorni di Delhi, ha dato nuova linfa alle proteste, portando le manifestazioni in tutto l’Uttar Pradesh.
La decisione del Primo ministro di abrogare le leggi indica che le mobilitazioni hanno messo in ginocchio il governo. Negli ultimi sette anni, Modi si è guadagnato la reputazione di essere sprezzante nei confronti delle agitazioni popolari. Persino il riconoscimento di richieste da parte di gruppi di protesta era visto con disprezzo, o come segno di debolezza per un governo ossessionato dal proiettare un’immagine di forza e decisione come forte e deciso. Un tale approccio sordo ha spesso portato il governo Modi a gravitare verso posizioni autoritarie.
D’altra parte, il movimento degli agricoltori si è evoluto dinamicamente sin dal suo inizio. Da una protesta che aveva le sue radici nel solo Punjab, essa si è sviluppata in un movimento a livello nazionale in cui i gruppi di agricoltori hanno messo da parte le loro differenze e collaborato per affrontare un governo potente. Lentamente e gradualmente, diversi leader di vari Stati si sono riuniti e hanno costruito un fronte unito, stemperando nel corso di questo processo le molteplici contraddizioni di casta e comunitarie. Ogni volta che il movimento si trovava a subire una battuta d’arresto, ne usciva più forte. Lo slogan “Kisan Ekta, Zindabaad [Lunga vita all’unità dei contadini-operai n.d.t]”[3] che aleggiava nell’aria in tutti i siti di protesta è diventato anche l’appello per molti agricoltori che non hanno avuto la possibilità di partecipare attivamente alle agitazioni.
Negli ultimi mesi, la mobilitazione si è sviluppata fino a diventare un movimento politico contro le tattiche polarizzanti messe in campo dal BJP. Essa ha contribuito a sanare le tensioni tra Jats [4] e musulmani – due comunità dilaniate all’indomani delle rivolte di Muzaffarnagar del 2013[5] – nella parte occidentale dell’Uttar Pradesch. Il movimento è diventato la piattaforma per riunire molte comunità. In precedenza, i dirigenti degli agricoltori hanno condotto un’ampia campagna nel Bengala Occidentale come forza anti-BJP e hanno contribuito in modo cruciale all’umiliante sconfitta del neonato “partito dello zafferano” [BJP, n.d.t] nello Stato. Ci sono stati diversi casi in cui le persone non hanno nemmeno permesso ai dirigenti del BJP di fare campagna nei loro villaggi. Il movimento ha anche innescato un esodo di leader del BJP di livello inferiore verso altri partiti in diversi Stati.
Sotto ogni aspetto, il movimento ha dato l’esempio e ha mostrato la via da seguire per controbilanciare i tentativi dei partiti politici di polarizzare la società su linee comunitarie. All’indomani dei disordini di Muzaffarnagar, il BJP è stato l’unico beneficiario dell’ostilità tra Jats e musulmani. In Haryana, il partito dello zafferano ha aizzato i Jats, comunità maggioritaria, contro altre comunità più piccole, seguendo un metodo cinico di polarizzazione al fine di conseguire vittorie elettorali nella maggior parte degli stati.
Dopo essersi dimostrato sprezzante nei confronti del movimento degli agricoltori, l’annuncio di Modi di abrogare le leggi agricole è sembrato altrettanto cinico. Nonostante il tentativo di schiacciare il movimento, il Primo ministro ha parlato di fare “tutto il possibile” per aiutare gli agricoltori. Ha parlato dell’impegno del suo governo per il benessere dei contadini, ma mentre ritirava le leggi ha sollevato la questione della sua incapacità di “spiegare la verità” agli agricoltori.
La sua decisione è arrivata a pochi mesi dalle cruciali elezioni legislative nello Stato più popoloso dell’India, l’Uttar Pradesh, dove il BJP mira a un nuovo mandato e nel Punjab, dove ha perso il suo alleato più affidabile – lo Shiromani Akali Dal (Badal) – nel corso del movimento contadino. Con prospettive cupe in entrambi gli Stati, la decisione di Modi di abrogare le leggi agrarie sembra essere stata presa tenendo conto solo di considerazioni elettorali.
L’opposizione, in entrambi gli Stati, ha invece consolidato la propria posizione, cavalcando un’ondata di rabbia contro il BJP tra le comunità agricole. Diversi sondaggi hanno sottolineato che il BJP potrebbe subire pesanti sconfitte nell’Uttar Pradesh occidentale, il suo bastione più forte nello Stato. Allo stesso modo, nel Punjab, la mossa di Modi apre alla possibilità di una rinnovata alleanza BJP-SAD (Badal), o una partnership con l’ex primo ministro del Congresso Amarinder Singh, che aveva dichiarato di essere aperto a un’alleanza pre-elettorale con il BJP se il governo centrale risolverà i problemi degli agricoltori.
La decisione di Modi dà al BJP un po’ di margine d’azione nelle prossime elezioni e ha lo scopo di prevenire ulteriori danni al partito. Modi potrebbe aver lanciato la sua mossa come una concessione ai contadini in protesta in occasione del Guru Nanak Jayanti [importante festa religiosa Sikh n.d.t], ma è difficile non notare che il movimento contadino lo ha portato a un punto in cui non avrebbe potuto prendere nessun’altra decisione.
La vittoria del movimento segna anche la prima vera sconfitta del governo Modi negli ultimi sette anni. In questo senso, è un’occasione importante nella storia politica dell’India.
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Forza_di_liberazione_del_Khalistan
4) https://www.treccani.it/enciclopedia/jat_%28Dizionario-di-Storia%29/