È passato poco meno di un anno dal referendum, tenutosi in Cile il 25 ottobre 2020, tramite il quale il 78,28% dei partecipanti, con un’affluenza attestatasi al 50,95%, ha deciso di archiviare la costituzione promulgata durante la dittatura di Pinochet, optando inoltre per l’Assemblea costituente (Convención constitucional) – composta interamente da membri eletti direttamente dai cittadini, mentre l’alternativa, l’Assemblea mista (Convención mixta), prevedeva la presenza in parti eguali di parlamentari in carica e nuovi eletti – quale organo incaricato di elaborare un nuovo testo.
Quello ormai in via di dismissione, sopravvissuto con poche modifiche di facciata alla sia pur moderata transizione della fine degli anni Ottanta, era un testo costituzionale scritto da una commissione nominata dai militari e approvato in un plebiscito svoltosi l’11 settembre del 1980 in stato di emergenza, con i partiti politici al bando e sotto lo stretto ed esclusivo controllo di funzionari governativi. Oltre a incorporare la precedente e pesantemente repressiva legislazione, nonché limitare il suffragio universale in un quadro di “democrazia sotto tutela” mirante a limitare la partecipazione popolare, si trattava della costituzione che, per riprendere le parole di uno studioso citato da un compiaciuto The Economist, “al mondo più favoriva il settore privato”.
Ebbene, il 15 e 16 maggio si sono infine svolte le elezioni per determinare la composizione dell’Assemblea costituente, accompagnate da quelle amministrative per designare sindaci, consigli comunali e, per la prima volta, i governatori regionali sino ad oggi di nomina presidenziale; una tornata elettorale il cui esito è una sonora sconfitta per il governo di Sebastián Piñera e la destra tutta, già indeboliti dalle incessanti e partecipatissime manifestazioni in corso sin dall’ottobre del 2019, innescate dall’aumento di 30 pesos del biglietto della metropolitana di Santiago. Innescate, si diceva, perché in realtà si tratta di un fermento sociale in corso da anni contro le enormi diseguaglianze socioeconomiche della società cilena, il che può giungere nuovo solo a media e osservatori affaccendati negli ultimi decenni a magnificare quel “miracolo del libero mercato” rappresentato dal paese sudamericano. “Miracolo” che per altro, se guardato da vicino, sembrerebbe frutto più di una “diversificazione delle esportazioni” dovuta ad “interventi governativi accuratamente congegnati” che al laissez-faire su cui continuano a fantasticare gli apologeti del modello cileno; un exploit, quello dell’economia cilena, la cui altra faccia è stata la massiccia privatizzazione negli ambiti di sanità, previdenza e istruzione.
L’Estallido social, nome col quale è stato identificato l’ampio movimento emerso sul finire del 2019 – e che oltre agli studenti ha visto protagonisti anche lavoratori, pensionati, comunità indigene, movimenti femministi e LGBTQ – ha accompagnato e in parte determinato il processo costituzionale. Nonostante la brutale reazione del governo Piñera, con un bilancio di 3.765 feriti, 445 con gravi lesioni oculari, una delle “conseguenze più note dell’azione della polizia […] derivanti dall’uso indiscriminato, eccessivo e fuori controllo […] di armi da fuoco e altro tipo di proiettili”, 10.365 detenzioni spesso accompagnate da “tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti” e 34 morti, si è giunti alle elezioni di metà maggio 2021.
Il risultato delle quali, come già accennato, è stato inequivocabile: per quanto riguarda l’Assemblea costituente, la lista Chile vamos, coalizione reazionaria di cui è espressione il governo Piñera, ha ottenuto un 20,56% che le preclude il potere di veto; quella del centro-sinistra istituzionale, Lista del apruebo, si è attestata a un deludente 14,46%; la lista Apruebo dignidad – comprendente il Partito comunista e il Frente amplio – si è aggiudicata invece il 18,74%, mentre l’eterogenea Lista del pueblo formata da indipendenti di sinistra, espressione di parte delle mobilitazioni di piazza ha raggiunto il 16,27%; segue una lista che si potrebbe definire di indipendenti progressisti, Indipendientes non neutrales, da alcuni osservatori ritenuta però non estranea a interessi smaccatamente capitalistici. Si diceva del potere di veto sfuggito dalle mani della coalizione delle destre, tuttavia non irraggiungibile tramite accordi con forze moderate o cooptazione di delegati presenti nell’Assemblea; per cui, la possibilità di interferire con lo smantellamento della costituzione pinochetista, così come delle diseguaglianze e sfruttamento di cui è espressione e garante? non sono certo stati annullati dal pur storico esito elettorale.
Risultato sfavorevole per la destra al governo anche nelle consultazioni amministrative svoltesi in concomitanza a quelle costituenti, non tanto nelle inedite elezioni dei governatori – che hanno comunque visto la vittoria nella Regione di Valparaiso di Rodrigo Manduca, sostenuto dal Frente amplio, figura impegnata nella lotta contro la privatizzazione delle risorse, in specie l’acqua – quanto in quelle comunali. La destra perde numerosi comuni, mentre la sinistra istituzionale ottiene un buon risultato, ma anche in questo caso a spiccare sono il Frente amplio e la coalizione di cui fa parte anche il Partito comunista che si aggiudicano importanti città, in particolare Santiago del Cile dove la candidata comunista Iraci Hassler ha battuto il pezzo da novanta liberal-conservatore Felipe Alessandri. Ovviamente tutto ciò non deve dare adito ad eccessivi ottimismi, come correttamente fatto notare, “nonostante il declino elettorale dei suoi partiti” la classe dirigente cilena “non ha perso il suo potere e, mantenendo il controllo delle sue principali leve, cercherà con tutti i mezzi a propria disposizione di rovesciare la situazione in cui si trova” [1].
Le elezioni in Perù e la vittoria di Castillo
Un’altra importante tornata elettorale si è svolta nel frattempo nel confinante Perù, portando alla vittoria del candidato di Perù Libre, formazione di ispirazione marxista e antimperialista, l’insegnante e sindacalista Pedro Castillo, emerso contro ogni previsione al primo turno di aprile; superando i concorrenti più in vista – tanto nel campo della sinistra, con Veronika Mendoza presidente di Nuevo Perù e candidata dell’ampia coalizione progressista Juntos por el Perù, quanto nel campo della destra, con Hernando de Soto, architetto di feroci politiche di liberiste quale consigliere economico di Alberto Fujimori – è proprio contro la figlia ed erede politica di quest’ultimo, Keiko, che Castillo si è ritrovato a competere al ballottaggio per la presidenza.
Ballottaggio tenutosi il 6 giugno cui hanno partecipato 18.791.647 degli oltre 25 milioni aventi diritto e che, dopo un estenuante spoglio, assegna a Castillo 8.817.351 voti dei 17.574.469 validi contro gli 8.757.118 ottenuti dalla rivale di Fuerza popuar. Se nelle prime ore la Fujimori è apparsa in lieve vantaggio ciò è dovuto al fatto che i risultati dalle aree rurali e minerarie, nelle quali risiede buona parte della base di Perù libre, arrivano più tardi rispetto ai centri urbani , secondo una dinamica già vista in Bolivia nel 2019. E, proprio come nel caso del paese con cui confina a nord-ovest, anche in Perù la candidata sconfitta sta già gridando ai brogli, non trovando tuttavia al momento la sponda di organismi sovranazionali, compresa la screditatissima – visto il suo ruolo attivo nel golpe contro Morales e il sostegno alla marionetta USA Jovenel Moïse ad Haiti – Organizzazione degli Stati americani (OSA) presieduta da Luis Almagro.
Come nel caso del Cile, dunque, l’incarognita borghesia peruviana non mollerà facilmente l’osso, basti pensare che viene invocato l’annullamento di centinaia di migliaia di voti andati a Castillo, in una manifestazione di disprezzo classista e razzista della volontà popolare, delle procedure e istituzioni democratiche – le stesse decantate durante una campagna elettorale della destra condotta all’insegna degli ormai logori spauracchi del comunismo, chavismo, ecc. – non nuova per le classi dominanti del paese. Se negli anni Sessanta, dopo le dittature militari di destra, governi tanto civili che militari davano risposte sia pur deboli alle rivendicazioni popolari – specie in fatto di riforma agraria, certo alternate alla repressione, ma accompagnate anche da tentativi di emancipazione dai capitali stranieri, sopratutto statunitensi, culminati nell’operato della giunta militare guidata del generale Juan Velasco Alvarado – i primi anni Novanta, dominati dalla figura di Alberto Fujimori, offrono un esempio perfetto delle tendenze reazionarie della borghesia peruviana.
Divenuto presidente nel 1990, battendo Mario Vargas Llosa in un’elezione tutta giocata a destra, due anni dopo Fujimori – adducendo a pretesti la sovversione, il narcotraffico e la corruzione – dissolveva il Congresso e sospendeva la costituzione allora vigente, mentre l’esercito assumeva il controllo della capitale; sei mesi dopo, Abimael Guzmán, leader della guerriglia maoista di Sendero Luminoso – guerriglia che dalle aree rurali, in cui era maggiormente radicata, alla metà degli anni Ottanta aveva iniziato a intensificare l’attività a Lima – veniva catturato segnando la sconfitta del movimento. Fujimori, che per un decennio avrebbe monopolizzato la scena politica del paese, già prima dell’”autogolpe” aveva iniziato ad attuare un piano di riforme liberiste – per altro già prefigurato dalle forze armate a fine anni Ottanta – divenuto noto come “Fujishock” che prevedeva, tra le altre misure, la rimozione di ogni forma di sussidio, liberalizzazione di beni, servizi e mercato del lavoro, privatizzazione delle imprese pubbliche, ecc.
Un assetto economico rimasto sostanzialmente immutato nel ventennio successivo alla caduta di Fujimori dietro la facciata del ripristino delle procedure democratiche, col succedersi di vecchie conoscenze come Alan García – il quale durante il suo precedente mandato fu fautore di una risposta pesantemente militarizzata a Sendero Luminoso e al Movimento rivoluzionario Túpac Amaru, culminata in una strage di prigionieri in rivolta nel 1986 – e ambigue nonché presto deluse speranze di cambiamento come Hollanta Humala, in parallelo al rincorrersi di scandali legati alla corruzione. Considerati questi precedenti, si comprende tanto l’entusiasmo che il rancore suscitati dall’ascesa di Castillo, il primo espresso nel corso di una campagna elettorale molto classica nelle sue modalità, segnata da un’enorme partecipazione popolare, mentre il secondo, come già accennato, si è manifestato nel rispolvero di un rozzo anticomunismo, non disdegnando le intimidazioni e le pressioni nei confronti dei lavoratori [2].
Un campagna, quella della destra, agevolata dalla stragrande maggioranza dei “mezzi di informazione” impegnati ad amplificarne le grossolane manipolazioni, come ad esempio il tentativo di associare Castillo e Perù libre all’eccidio di sedici persone in una zona rurale discutibilmente attribuito a Sendero luminoso; tentativo grottesco, considerando i rapporti non certo idilliaci tra la formazione maoista e le Rondas campesinas, una delle componenti più organizzate della base del neoeletto presidente. Tanto più che il programma di Perù libre è sì radicale, perlomeno rispetto all’attuale configurazione economica del paese, ma non certo rivoluzionario: vi si prefigura una “economia popolare di mercato”, quest’ultimo sottoposto a uno stato concepito come regolatore e pianificatore, capace di rinegoziare il peso dei capitali stranieri ed eventualmente nazionalizzare settori strategici; l’aumento delle risorse destinate all’istruzione pubblica – garantendo l’accesso a tutti i suoi livelli, sopratutto a quella parte di popolazione tra la quale ancora oggi non è raro l’analfabetismo – e alla sanità; il riconoscimento del carattere plurinazionale del paese, ecc.
Merita un cenno, da ultimo, il maldestro tentativo da parte dei media schierati con la Fujimori di presentarla come promotrice dei diritti delle donne, parallelo a quello di ridurre la figura di Castillo e ciò che rappresenta a un concentrato di misoginia e ostilità alle rivendicazioni della comunità LGBTQ; anche in ragione del fatto che simili distorsioni, gonfiate da giornali moderati come Perù21, hanno trovato qualche eco in certe voci della sinistra italiana. Quanto al profilo “femminista” della candidata della destra, la maggior parte delle militanti e organizzazioni hanno respinto la cooptazione delle loro battaglie intentata da una compagine politica compromessa con la tragica vicenda delle sterilizzazioni forzate cui furono sottoposte centinaia di donne, sopratutto appartenenti a comunità indigene, dal 1996 al 2000, sotto il regime di Alberto Fujimori. Stesse militanti e organizzazioni che hanno espresso un critico, ma tuttavia convinto, sostegno al candidato di Perù libre, consapevoli che “il fujimorismo ha un vincolo con settori estremamente conservatori come ‘Con mi hijos non te metas’; ‘Padres en acción; ‘Parejas reales (contrario alle unioni civili fra persone dello stesso sesso)”; se queste soggettività giustamente lamentano le carenze di Castillo riguardo alle questioni di cui sono portatrici, notano tuttavia la sua disponibilità all’ascolto, sancita anche dell’accordo pre-ballottaggio con Nuevo Perù di Veronika Mendoza, formazione ritenuta sensibile alle loro rivendicazioni.
In conclusione, i risultati delle elezioni in Perù e Cile – che potrebbero avere un ulteriore seguito alle presidenziali, visto il buon posizionamento nei sondaggi del candidato del Partito comunista del Cile Daniel Jadue – dopo quelle boliviane, col rigetto del golpe targato USA, senza dimenticare la rivolta contro Duque in Colombia, sembrerebbero confermare una rivitalizzazione di forze votate, o almeno inclini, a mettere in discussione lo strapotere delle borghesie reazionarie a livello interno e, all’esterno, l’allineamento ai loro patroni di Washington. In particolare l’elezione di Castillo potrebbe segnare un nuovo colpo al cosiddetto Gruppo di Lima, l’accozzaglia sponsorizzata dagli Stati Uniti aggregata nel 2017 a sostegno dell’opposizione venezuelana a Maduro, dopo l’abbandono dell’Argentina deciso dal presidente Alberto Fernández. Ovviamente, come si è già avuto modo di sottolineare, gli inciampi elettorali non saranno sufficienti a disarmare la reazione che, forse con la sola eccezione del Venezuela e Nicaragua, pure soggetti a continui attacchi, conserva il controllo di buona parte dei principali apparati economici, istituzionali, militari e disinformativi [4].
Note
- https://pv.servelelecciones.cl/; https://cut.cl/cutchile/2020/10/22/cuales-son-las-diferencias-entre-convencion-constitucional-y-convencion-mixta-constitucional/; Amnesty International Report 1981, p. 122 https://www.amnesty.org/download/Documents/POL1000011981ENGLISH.PDF; https://www.ciperchile.cl/2019/11/13/como-la-despolitizacion-y-marginacion-promovida-por-la-constitucion-del-80-hoy-nos-pasa-la-cuenta/; https://www.reuters.com/article/us-chile-protests-explainer-idUSKBN1X22RK; https://www.economist.com/the-americas/2020/10/24/chiles-momentous-referendum-on-its-constitution; https://cchdh.cl/medios-de-comunicacion/; https://www.indh.cl/bb/wp-content/uploads/2020/02/Reporte-de-datos-18-febrero-de-2020.pdf; https://www.servelelecciones.cl/.
- https://www.resultadossep.eleccionesgenerales2021.pe/SEP2021/EleccionesPresidenciales/RePres/T; https://twitter.com/jomaburt/status/1402075518007119873; https://english.elpais.com/usa/2021-06-08/keiko-fujimori-alleges-fraud-as-peru-election-goes-down-to-the-wire.html; https://elpais.com/Comentario/1623219084-652f75b67a414cd6feb079314db046a2?gla=es; Jo-Marie Burt, Violencia y autoritarismo en el Perù. Bajo la sombra de Sendero y la dictatura de Fujimori, IEP Instituto de Estudios Peruanos, 2011, pp. 64-67, 168-169, 266-271; Ramón Pajuelo Teves, War and Neoliberal Transformation: The Peruvian Experience, in Francisco Gutiérrez e Gerd Schönwälder (a cura di), Economic Liberalization and Political Violence. Utopia or Dystopia?, Pluto Press, 2010, pp.260-274; http://www.cverdad.org.pe/ifinal/pdf/TOMO%20VII/Casos%20Ilustrativos-UIE/2.67.FRONTON%20Y%20LURIGANCHO.pdf;
- https://finance.yahoo.com/news/peru-presidential-election-tightens-poll-114851256.html; https://ojo-publico.com/2731/narcoterroristas-de-jose-acusados-de-matar-16-personas; Mario Fumerton, Rondas Campesinas in the Peruvian Civil War: Peasant Self-Defence Organizations in Ayacucho, in Bulletin of Latin American Research, Vol. 20, N. 4, Special Issue: Armed Actors in latin America in the 1990s, ottobre 2001, pp. 470-497; https://www.alainet.org/es/articulo/212125; https://www.nytimes.com/es/2021/05/24/espanol/opinion/peru-elecciones-castillo-fujimori.html.
- https://chile.activasite.com/estudios/pulso-ciudadano-31/; https://www.latercera.com/earlyaccess/noticia/el-incierto-futuro-del-grupo-de-lima-y-la-alianza-del-pacifico-tras-un-eventual-triunfo-de-castillo/DHPUGU37RVHCLGCWBKWZEOGGJY/; https://argentina.as.com/argentina/2021/03/26/actualidad/1616762823_501426.html.