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Le proteste dei contadini indiani in una prospettiva globale

proteste dei contadini indiani

di Utsa Patnaik *

Non sono solo le imprese indiane le potenziali beneficiarie delle nuove leggi sull’agricoltura; l’agrobusiness estero è anch’esso un pericolo

Il movimento dei contadini per il ritiro delle tre leggi sull’agricoltura – dalle quali sono colpiti direttamente, ma che sono state imposte senza consultarli – è giunto al secondo mese di mobilitazione [1]. È un evento di portata storica. Non si tratta solo del prezzo minimo di sostegno, bensì della sopravvivenza dell’intero sistema pubblico di approvvigionamento e distribuzione di cereali. Senza assicurare la redditività della produzione di cereali nel nord dell’India – il granaio del paese – non può essere garantita la continuità di tale sistema, il quale, malgrado i suoi inconvenienti, continua a fornire un minimo di sicurezza alimentare ad ampie fasce della nostra popolazione.

Una riproposizione di dinamiche dell’epoca coloniale

I paesi industriali del Nord, segnatamente gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea (UE), non possono produrre le colture tropicali e sub-tropicali fortemente richieste dai loro consumatori, mentre hanno montagne di cereali e prodotti lattiero-caseari in eccedenza, i soli beni che i loro terreni sono adatti a produrre per ragioni climatiche. Beni per i quali devono trovare mercati di esportazione. Nel corso di oltre due decenni, hanno esercitato pressioni senza tregua sui paesi in via di sviluppo affinché rinunciassero ai loro sistemi pubblici di approvvigionamento, insistendo perché acquistino i cereali dai paesi avanzati e convertano, nel frattempo, la superficie destinata alle colture alimentari di base a vantaggio della coltivazione, a contratto, di quelle da esportazione reclamate dai paesi industriali che non possono produrle. 

Numerosi paesi in via di sviluppo, spaziando dalle Filippine alla metà degli anni Novanta al Botswana nel decennio successivo, hanno ceduto a simili pressioni; pagandone il prezzo nel momento in cui i cereali, rapidamente destinati alla produzione di etanolo in USA e UE, hanno visto i loro prezzi triplicati nel giro di pochi mesi a partire da fine 2007. In trentasette paesi appena divenuti dipendenti dalle importazioni hanno avuto luogo rivolte per il cibo, con le rispettive popolazioni urbane spinte in una sempre maggiore povertà.

La sicurezza alimentare del mondo in via di sviluppo è questione troppo importante per essere lasciata al mercato globale, ma l’attacco costante alle sue scorte cerealicole pubbliche, salvaguardia di tale sicurezza, non si ferma. L’India a malapena è riuscita a ritrarsi dal baratro un decennio fa: i prezzi di approvvigionamento sono stati aumentati sostanzialmente dopo aver praticamente stagnato durante i sei anni precedenti il picco dei prezzi del 2008; e la produzione di cereali in Punjab, col miglioramento della redditività economica, è di nuovo cresciuta da livelli pressoché stagnanti. Ma l’assorbimento dei cereali non è migliorato molto a causa dell’esclusione di molti poveri effettivi dalle tessere annonarie riservate a chi è al di sotto della soglia di povertà, mentre la disoccupazione provocata dalla demonetizzazione del 2016 [2] seguita dalla pandemia del 2020, ha ridotto la domanda aggregata, ad oggi, a un minimo storico.

Un caso di pratiche commerciali sleali

I nostri contadini sono stati esposti assurdamente a pratiche commerciali sleali, nonché alla volatilità dei prezzi globali che li ha gettati in debiti e sofferenze insanabili – in un villaggio del Punjab ci sono state almeno 59 vedove di contadini spinti al suicidio. Il commercio con il Nord è ineguale poiché i paesi avanzati, alla metà degli anni Novanta, hanno convertito le loro misure di sostegno ai prezzi in massicci sussidi sotto forma di trasferimenti diretti in denaro ai propri agricoltori; trasferimenti che, in maniera platealmente egoistica, hanno inscritto come ‘non soggetti a impegni di riduzione’ nel testo dell’Accordo sull’agricoltura dell’OMC. L’India, insieme ad altri paesi in via di sviluppo, ha firmato l’accordo avendo ben poco chiare le implicazioni delle clausole stampate in piccolo. Per quanto riguarda gli USA, i trasferimenti diretti in contanti ai loro 2,02 milioni di agricoltori, pari a metà o più della produzione agricola annuale del paese, incidono solo sull’1% del suo bilancio. In India sarebbe necessario oltre il 50% di bilancio annuale del governo centrale, anche solo per dare un quarto di valore annuale della produzione agricola ai nostri 120 milioni di contadini, il che sarebbe economicamente insostenibile oltre a costituire un incubo amministrativo.

Una questione di prezzo ragionevole

I contadini hanno ampiamente messo in chiaro che non vogliono elemosine; tutto ciò che reclamano è un prezzo ragionevole per le colture basilari da loro prodotte per la nazione, così da coprire costi e condizioni di vita a un livello modesto. Nelle circostanze indiane, il sistema di sostegno dei prezzi è di fatto l’unico praticabile. Sebbene l’esaurimento delle falde acquifere in Punjab sia un problema reale, la soluzione consiste nell’introdurre pratiche agronomiche più avanzate come il Sistema di Intensificazione del Riso – il quale consente di economizzare le risorse idriche – non certo nel ridurne la produzione. Non ci si taglia la testa per curare un’emicrania.

E precisamente i prezzi di sostegno per le colture sono stati deliberatamente sottoposti, dai paesi avanzati, a regole di calcolo arbitrarie e assurde all’interno dell’Accordo sull’agricoltura. Gli USA, nel maggio 2018, hanno lamentato presso l’Organizzazione mondiale del commercio riguardo all’India che, siccome il ‘prezzo di riferimento’ per calcolare il sostegno era quello medio globale di un raccolto del 1986-88, da loro convertito in rupie al tasso di cambio all’allora prevalente di 12,5 rupie per dollaro, il prezzo di sostegno indiano per quintale – in riferimento a riso e grano – nel 2013-14 avrebbe dovuto essere al massimo 235 e 354 rupie rispettivamente! Gli effettivi prezzi di sostegno erano 1348 e 1386 rupie e la differenza, oltre 1000 rupie per quintale, è stata moltiplicata per l’intera produzione 2013-14 di riso e grano, giungendo al 77% e 67% dei loro valori di produzione. Questo, hanno affermato gli USA, costituiva un sostegno fornito in grave violazione del 10% consentito.

Due mesi dopo gli USA hanno inviato nuove richieste all’India. Ogni sorta di regola disonesta e assurda è stata introdotta nell’Accordo sull’agricoltura al fine di imbrogliare gli sprovveduti paesi in via di sviluppo. I nostri contadini sono fra i produttori più a basso costo del mondo e i prezzi di sostegno nel 2013-14, al tasso di cambio prevalente di 60,5 rupie per dollaro, erano ben al di sotto dei prezzi globali, vale a dire che il prezzo di sostegno effettivo era negativo.

Una corretta valutazione

L’attuale compressione della domanda globale significa che i prezzi del grano e del riso sono a minimi storici, i sussidi all’agricoltura nei paesi avanzati sono invece ai massimi e l’ansia di scaricare i loro cereali sui nostri mercati si è intensificata. I nostri contadini mobilitati hanno correttamente individuato le aziende domestiche come potenziali beneficiarie della nuova legislazione liberista cui si oppongono, tuttavia le imprese straniere dell’agrobusiness rappresentano un pericolo altrettanto grande.

Contadini che hanno già fatto esperienza dei contratti agricoli con l’agrobusiness estero in Punjab e  Haryana affermano quindi chiaramente che non intendono aver a che fare con società private potenti e senza volto, le quali vengono meno ai contratti su quantità e prezzi quando più gli fa comodo. Nonostante tutta la sua inefficienza e i ritardi nei pagamenti, preferiscono vendere ad agenti del governo ai prezzi minimi di sostegno stipulati. Essi sono assolutamente nel giusto quando vedono nella deregolamentazione dei mercati, imposta dalle nuove leggi, così come nell’ingresso delle aziende private – che saranno indiane, ma anche straniere – un drastico indebolimento dell’intero sistema pubblico di approvvigionamento e prezzi minimi di sostegno.

La spinta all’‘energia verde’

Numerosi intellettuali indiani sostengono che importare cereali sussidiati dal Nord beneficerebbe i consumatori poveri di qui. Costoro dimenticano che vi è una spinta crescente a supporto dell’‘energia verde’ nei paesi avanzati, la quale preme per un ulteriore conversione di cerali in etanolo; al dunque, importazioni di cerali inizialmente a basso prezzo, se consentite oggi, non solo rovineranno in nostri contadini, ma lasceranno ben presto spazio a uno scenario con picchi di prezzo e miseria urbana, come quella già sperimentata dai paesi in via di sviluppo costretti alla dipendenza da importazioni. Chiunque abbia a cuore i nostri contadini e il loro duro lavoro, nonché i consumatori colpiti dalla povertà, deve sostenerne le rivendicazioni contro le élite capitaliste locali e globali.


1) Le tre leggi avanzate dal governo presieduto da Narendra Modi, che secondo Prabhat Patnaik ‘per la prima volta dall’indipendenza consentirebbero l’intrusione massiccia nell’agricoltura del capitalismo più sfrenato’, hanno innescato un’imponente e costante mobilitazione, con la partecipazione anche del Partito comunista d’India (marxista); mobilitazione che prosegue, nonostante la Corte suprema indiana abbia ‘temporaneamente bloccato l’implementazione’ dei provedimenti‘.

2) Nel novembre del 2016 il governo indiano annunciava che l’86% della valuta nazionale (tutte le banconote da 500 e 1000 rupie) non avrebbe più avuto corso legale, adducendo a motivazione del provvedimento la lotta all’evasione fiscale, alla contraffazione e al terrorismo che di quest’ultima si alimenterebbe. L’economista Jayati Gosh, insieme ai colleghi C.P. Chandrasekhar e Prabhat Patnaik, ha sostenuto che la demonetizzazione, oltre a non aver raggiunto gli obiettivi dichiarati, ha avuto pesanti effetti sull’economia e sulle condizioni materiali di gran parte della popolazione (https://thewire.in/books/demonetisation-decoded-extract).


* Utsa Patnaik è professoressa emerita alla Jawaharal Nehru University

Articolo originale pubblicato su The Hindu del 30 dicembre 2020

Traduzione e note a cura di Zuseppe Sini

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