Loading...

Le galline ritornano al pollaio di Washington

Capitol Hill

Interpellato circa l’assassinio di JFK Malcolm X, con l’icasticità che gli era consueta, rispose che dal suo punto di vista era un caso di “galline che ritornano al pollaio”, e nella sua autobiografia puntualizzava come si trattasse di un riferimento all’odio interno agli USA – quello che si materializzava, e si materializza, in particolare contro i neri – e alla sua proiezione estera, la quale si abbatteva, e si abbatte, con pari violenza tanto sui fantocci dell’imperialismo ritenuti ormai inservibili, come Ngo Dinh Diem, quanto sui suoi strenui avversari come Lumumba. L’efficace immagine usata dal leader afroamericano ben si adatta all’assalto portato il 6 gennaio dai sostenitori più esagitati di Trump al Congresso, interrompendo la seduta che doveva certificare il voto del collegio elettorale a favore del duo Biden/Harris, operazione portata poi a compimento una volta ripreso il controllo di quello che, nella prosopopea dell’asservito giornalismo nostrano, ci si ostina a definire – citando il neoeletto presidente – “tempio della democrazia”.

Le scene provenienti da Capitol Hill, sono sembrate a tanti una riproposizione degli assalti a sedi istituzionali compiuti da manifestanti sostenuti da Washington nel sud globale, ma non solo: dall’America latina, col Venezuela e la Bolivia, sino all’Europa dell’est con l’Ucraina e la Bielorussia e alla Cina con Hong Kong, passando per il Medio oriente, con la Libia e la Siria, solo per citare alcuni esempi tra i tanti. Una sorta di “chi la fa l’aspetti” (come viene resa la dichiarazione di Malcolm X nella traduzione italiana) è la reazione a caldo, del tutto condivisibile, di una giornalista di Telesur, la quale ha rivendicato il diritto dei popoli del sud del mondo – bersaglio delle politiche imperialiste USA – a ridacchiare di quanto in quelle ore avveniva al Congresso [1].

Ovviamente, sarebbe eccessivo aspettarsi che i “mezzi d’informazione” occidentali si sforzino di vedere in questa vicenda il grottesco riflesso delle operazioni promosse dagli USA, davvero troppo lo shock per chi da decenni osanna l’efficacia delle procedure delle istituzioni statunitensi, e il fair play che le accompagnerebbe, garanti a loro detta della continuità della “più grande democrazia del mondo”. Tuttavia, una volta attenuatosi lo smarrimento, i commentatori si sono affannati a rimettere insieme i cocci, ricorrendo al collante ideologico che unisce sovranisti e loro oppositori liberali, ovvero la ributtante poltiglia del suprematismo occidentale, versione globalizzata di quello bianco che imperversa negli Stati Uniti e non solo. Ecco dunque giornalisti e politicanti sproloquiare sdegnati di scene “da terzo mondo” e “repubblica delle banane”, sorvolando sul fatto che queste erano sanguinose creazioni dell’imperialismo statunitense.

Non si è poi fatto attendere il tradizionale omaggio alla paranoia a stelle e strisce, evocando l’ombra dell’ingerenza estera: la Russia di Putin o la Cina, quest’ultima mette d’accordo tanto osservatori liberali, quanto sovranisti, sia nella loro ala moderata, ormai indaffarata a prendere le distanze da Trump, sia in quella più cospirazionista, tra le cui fila non si esita a farneticare di infiltrazioni straniere nella manifestazione, in alternativa a quelle attribuite a fantomatici militanti BLM o “antifa”. Si prenda ad esempio Ben Rhodes, che alcuni mesi fa lamentava l’incompetenza dell’imperialismo in salsa Trump-Rubio, il quale rantola su twitter: “è il giorno che Putin attendeva”; per poi rampognare il senatore Rubio che, in quanto ritenuto corresponsabile del fattaccio, non avrebbe titolo per riferirsi in senso peggiorativo al proverbiale terzo mondo, prerogativa che l’ex consigliere di Obama sembrerebbe voler riservare al solo suprematismo occidentale di marca democratica [2].

Quanto all’Italia, si può citare Federico Rampini che, dopo aver edotto per anni i lettori su l’impero di Cindia – fornendogli una versione edulcorata dei più triti luoghi comuni reazionari sull’Asia – si è ritagliato un posticino nel cuore dei trumpiani nostrani, commentando favorevolmente le pose da duro del loro beniamino rispetto alla Cina; oggi definisce “agghiaccianti, orribili”, le immagini che giungono da Washington e Trump “ignobile, irresponsabile”, dopo averlo fiancheggiato, assieme alla direzione Molinari di Repubblica, quando si trattava di spalare fango su Pechino. Qualche parola va spesa per quell’area un tempo socialista o comunista che – presa dalla ormai stucchevole tendenza ad attribuire a una generica sinistra praticamente tutto quanto verificatosi dal 1989 – non esita a rilanciare le “prove” dell’infiltrazione di BLM nella manifestazione risoltasi in assalto; e dire che il carattere politico di questa, se proprio ci si vuole attenere alle foto circolanti su social, è in parte facilmente deducibile anche dallo sventolio di bandiere confederate, della monarchia iraniana, israeliane e dai cartelli ferocemente anti-marxisti sfoderati da alcuni partecipanti [3].

Tenendo conto che non è mancato persino il paragone con la presa del Palazzo d’inverno – la prossimità alle fogne reazionarie dell’internet porta a confondere i bolscevichi con le centurie nere – dovrebbe essere chiara la bancarotta cui ha condotto l’aver speso gli ultimi anni a legittimare gli argomenti fantoccio della destra reazionaria, culminata nell’illusione di una presunta minore aggressività imperialista della presidenza Trump. Tanto più che assecondare certe tendenze, anche quando condivise da settori della classe lavoratrice, non porta alcun consenso se non ai sostenitori originali di tali posizioni, ammesso e non concesso sia giusto sacrificare i principi sull’altare dell’approvazione.

Del resto, la “sinistra” giustamente vituperata per essere stata protagonista o complice della restaurazione capitalistica post-ottantanove – quella dei Clinton, dei Blair e dei loro epigoni italiani per capirsi – non si è limitata ad attuare politiche economiche liberiste e imperialiste, ma ha spesso abbracciato, più o meno esplicitamente e opportunisticamente, valori e strategie di destra su temi come l’immigrazione, la sicurezza e i diritti civili, sebbene con un velo di trucco umanitario o arcobaleno. Alcuni dei rimasugli nostrani di quest’area si sono distinti per pochezza e classismo nei loro penosi tentativi di “analisi” di quanto accaduto il 6 gennaio, si prenda il famigerato tweet di Gori, del tutto indistinguibile dalle firme della stampa padronale tipo Rocca, per non parlare di uno dei bastioni dell’atlantismo come il Foglio [4].

Il giornale fondato da Ferrara, come già scritto su Ottobre, pur duramente critico nei confronti di Trump, ha sempre dato spazio o supportato posizioni – specie in materia di diritti civili e scienza – non dissimili da quelle di molti seguaci dell’ormai prossimo ex-presidente USA, e già patrimonio di quella destra evangelica base di quel Bush jr oggi oscenamente indicato come esempio positivo. Al di là delle pur reali contrapposizioni salta all’occhio la convergenza, tra sovranisti e liberali (di rito conservatore o progressista) su entrambe le sponde dell’Atlantico, nel considerare gli Stati Uniti, sia pur per ragioni diverse e talvolta opposte, quale faro di libertà e democrazia, baluardo contro gli assalti che, nella narrazione vittimista che li accomuna, l’occidente starebbe subendo dall’interno e sopratutto dall’esterno.

Una convergenza che i comunisti dovrebbero denunciare, insieme agli effetti devastanti sulla classe lavoratrice delle politiche di austerità  – vero e proprio pestaggio di classe in cui la sinistra ha non di rado svolto il ruolo di chi tiene ferma la vittima o sta a guardare – e al peso di queste nell’ascesa delle destre reazionarie; lungi dal cercare dialoghi o peggio confluenze, queste ultime vanno additate come funzionali a un ulteriore asservimento all’imperialismo USA, complici dell’aggressione nei confronti delle nazioni e dei movimenti che vi si oppongono. Quanto alla sospensione di Trump da twitter, vale la pena ricordare come già da tempo vengano sospesi o limitati gli account di funzionari, e anche capi di stato, di paesi più  o meno invisi agli USA, da Cuba al Venezuela passando per la Cina, o di altri soggetti in qualche modo ad essi riconducibili, senza che i sostenitori del miliardario newyorchese gridino alla censura. Dunque, nessuna celebrazione delle misure prese dal social, ma anche nessuna indulgenza rispetto al piagnisteo sulla libertà di espressione, tutt’al più è opportuno far notare che per quattro anni il presidente uscente ha “incitato alla violenza”, minacciando di radere al suolo l’Iran, la DPRK e altri senza che i vertici di twitter si scomponessero troppo.

Tornando all’assalto al Congresso, sempre che non si riveli solo come l’ultimo tragicomico atto dei quattro anni di Trump – il quale dopo le dichiarazioni roboanti della prima ora sembrerebbe essersi rassegnato a ritirarsi con la coda tra le gambe – bisogna guardarsi dalla tendenza a vedere negli avvenimenti statunitensi degli ultimi anni i segni di un’inevitabile decadenza, ma anche fossero tali, questa non sarà né rapida né indolore specie per gli oppressi tanto all’interno dei confini USA che al di fuori.  E anzi, se questo fosse il caso – che per altro non implica un venire meno dell’efficacia dei meccanismi di asservimento e repressione imperialisti, economici, militari, ecc.  –  la reazione degli USA sarà sempre più brutale non solo contro chi ne mette in discussione esplicitamente lo strapotere globale, ma anche nei confronti di quei vassalli che dovessero dare segnali, per quanto timidi, di non volersi lasciar trascinare a fondo.


1) Malcolm X, The Autobiography of Malcolm X, wiht the assistance ef Alex Haley, One World Book, 1992, p. 347 (trad. it. Autobiografia di Malcolm X, con la collaborazione di Alex Haley, BUR, 2004, p. 354); https://twitter.com/camilapress/status/1346929574454636546.

2) https://twitter.com/brhodes/status/1346933221141843968; https://twitter.com/brhodes/status/1346940574964744193;

3) https://www.youtube.com/watch?v=ar1bdWide-chttps://www.youtube.com/watch?v=IipcKO6fvK0; https://twitter.com/FedericoRampini/status/1346919375694143489; https://twitter.com/LalehKhalili/status/1346952387995574272.

4) https://twitter.com/giorgio_gori/status/1347079240722878464; https://twitter.com/christianrocca/status/1347238372906045440;

One Reply to “Le galline ritornano al pollaio di Washington”

  1. Le galline ritornano al pollaio di Washington – NUOVA RESISTENZA antifa' says: 10 Gennaio 2021 at 20:52

    […] Sorgente: Le galline ritornano al pollaio di Washington – Ottobre […]

Lascia un commento

Your email address will not be published.

You may use these <abbr title="HyperText Markup Language">html</abbr> tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*