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Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti

Lavorare meno, lavorare meglio

In un precedente articolo di analisi della fase attuale avevamo affermato che, in seguito alla crisi sanitaria innescata dalla pandemia, le società capitalistiche europee, o meglio le forze dirigenti che ne sono espressione, sarebbero state obbligate a percorrere tutte le strade, anche le meno ortodosse dal punto di vista del liberalismo economico oggi dominante, per affrontare le conseguenze sociali che questa avrebbe determinato:

i governi si vedono costretti ora a riesumare quelle politiche sociali a lungo e inutilmente richieste dalle ultra-minoritarie forze di opposizione antiliberale e anticapitalista, sempre per questo violentemente represse e ingiuriate

I governi della borghesia si trovano contro la loro volontà a sponsorizzare uno stato di agitazione sanitaria che spinge oggettivamente, per certi versi, in una direzione contraria agli interessi della loro classe di riferimento e del capitale: il doversi occupare di istanze sociali troppo a lungo neglette

Da questa contraddizione riconoscevamo che avrebbero potuto riaffiorare nel discorso pubblico idee “dimenticate” – non fosse altro che con l’intento di garantire la tenuta del sistema capitalistico – però tali da poter modificare sensibilmente il quadro politico e aprire così spazi potenziali di lotta.

La battaglia per la borghesia al comando sarebbe stata allora quella di tentare di ricondurre questa spinta all’interno delle compatibilità di sistema. Per i comunisti invece, “di spingere affinché le misure sociali immediatamente necessarie siano realizzate davvero e nella maniera più ampia possibile; di fare pressione affinché i costi della crisi non ricadano sulle classi subalterne; di affermare e rendere permanenti nuove conquiste sociali.”

Ma quali contraddizioni? Quali sarebbero queste nuove conquiste sociali, in un’epoca per di più segnata dalla restaurazione e che ci sta abituando alla regressione sociale generalizzata? Un esempio lampante della dinamica in corso ci viene dal dibattito che sta emergendo sulla riduzione dell’orario di lavoro e alla recente apertura da parte delle autorità UE sul salario minimo.[1]


Un PIL in caduta libera come mai prima nella storia del capitalismo sta caratterizzando una congiuntura storica che pone delle sfide inaudite alle borghesie dei paesi europei. La più esplosiva di queste riguarda senza dubbio il come affrontare la valanga di licenziamenti attesi nei prossimi mesi: si parla infatti di un milione di licenziamenti previsti solo in Italia. Numeri enormi, chiaro indice di qual è l’urgenza: evitare che l’autunno si trasformi in un disastro sociale, fare di tutto per attenuare la valanga garantendo la “stabilità”.

È qui allora, alla ricerca di soluzioni “innovative”, che irrompe il dibattito sul tempo di lavoro.

“Lavorare meno, lavorare tutti, a parità di salario”. Cavallo di battaglia storico del movimento operaio in tutte le sue articolazioni – dalle sinistre socialiste ai comunisti riformisti e rivoluzionari – questo tema viene ripreso e discusso periodicamente da insospettabili voci borghesi.

A fare da apripista oggi, le affermazioni della premier finlandese Sanna Marin che nel suo discorso di investitura alla presidenza del partito socialdemocratico ha espresso la necessità di una giornata di sei ore per essere “più equi e produttivi”. Successivamente sono arrivate le proposte della IG Metall, potente sindacato metalmeccanico tedesco, il quale ha fatto sapere in agosto che proporrà l’introduzione della settimana di quattro giorni nell’ambito della trattativa per il nuovo contratto collettivo che inizierà il prossimo anno[2].

Data la centralità del settore industriale automobilistico tedesco, che impiega direttamente 850 mila operai nella prima economia UE, tanto è bastato per innescare un dibattito con ramificazioni continentali e ad abbozzare gli (ancora vaghi) contorni di un terreno politico in cui i posizionamenti – a parte la scontata opposizione dei settori più oltranzisti del padronato – sembrano ancora fluidi e attendisti.

Persino in Italia dove la situazione sociale e politica è la più arretrata del continente, l’argomento ha trovato un suo spazio; se ne parla apertamente sulla grande stampa ufficiale e in televisione[3]. Il dibattito interviene in un contesto interno più che mai teso, in cui a metà novembre[4] scade il blocco dei licenziamenti voluto dal governo in piena pandemia e Confindustria intende approfittarne, invocando mano libera in particolare sulle risorse in arrivo dal Recovery Fund, sui contratti collettivi e dunque sui salari.

Il neo-presidente Bonomi attacca ormai quotidianamente il governo[5] con una linea che non intende concedere nulla al lavoro e ha anzi osato formulare la più reazionaria delle rivendicazioni; quella inaudita, che non ha suscitato purtroppo l’indignazione e la levata di scudi generale che avrebbe meritato, di slegare i salari dall’orario di lavoro.

Contro questa proposta indecente la vera riforma, affermano giuslavoristi ed economisti di sinistra, sarebbe invece quella di rilanciare il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, che rappresenta l’esatto opposto[6]. Proposta che non sembra per ora interessare i sindacati (senza dubbio giudicata troppo estremista visto il loro livello di collusione col padronato confindustriale) al contrario ad esempio dei loro omologhi francesi, come la CGT che ha messo le 32 ore e il salario minimo a 1800 euro quali rivendicazioni della piattaforma di lotta per l’autunno[7].

Follie, utopie, rischieste scondiderate? Tutt’altro, se ci poniamo in una corretta prospettiva storica per valutare la posta in gioco.  La giornata di otto ore fu conquistata dopo decennali e feroci battaglie operaie per ridurla dalle sedici ore vigenti nella seconda metà dell’Ottocento; una rivendicazione che fu al centro delle preoccupazioni e delle azioni del movimento operaio e della prima Internazionale di Marx e Engels. In Italia essa viene approvata definitivamente nel 1923, sull’onda dei successi della rivoluzione russa e delle lotte operaie interne: fu infatti inizialmente la FIOM, nel febbraio 1919, a strappare un accordo di categoria alla Confederazione degli industriali per la riduzione dell’orario a otto ore giornaliere e quarantotto ore settimanali; accordo poi esteso a tutte le categorie appunto dal decreto del 1923. Nel secondo dopoguerra, la lotta per la diminuzione del tempo di lavoro non si arresta, e la pressante rivendicazione delle 40 ore settimanali viene infine soddisfatta all’inizio degli anni 70[8]. Da allora tuttavia, l’orario di lavoro non è più evoluto.

Le otto ore compiono quindi un secolo, figlie di un’epoca in cui l’automazione era agli albori; le quaranta ore compiono cinquant’anni, figlie di un’epoca di grandi lotte di massa. Invece oggi, epoca in cui dagli anni `70 il processo di automazione, complice soprattutto la rivoluzione digitale, è letteralmente esploso sviluppandosi a livelli mai visti, ancora ereditiamo acriticamente questo assetto passato, anacronistico rispetto allo sviluppo delle forze produttive.

Non c’è niente di più realistico dunque, di moderno e di legittimo, dell’obiettivo della giornata di sei ore. Sono piuttosto le pretese di Bonomi a configurarsi come esternazioni retrograde di chi intende rimettere indietro le lancette della storia.


Ci sarebbe da capire allora se il fronte borghese, composto da governo-padronato-grandi monopoli-partiti, sia allineato all’integralismo e alle strategie completamente reazionarie dell’attuale dirigenza di Confindustria. Già qualche indizio in senso contrario esiste, visto il duro scontro tra Bonomi e alcuni dei giganti dell’agroalimentare sugli aumenti salariali che questi ultimi hanno “osato” accordare ai dipendenti per via di un accordo di categoria tra sindacati e Federalimentare[9].

Confindustria è dunque spaccata? Tiene assieme interessi troppo diversi in questa fase? E come si posizionerebbero i partiti tradizionali, tutti espressione dei medesimi interessi economici ma portatori di sensibilità culturali diverse, a fronte di una richiesta di diminuzione del tempo di lavoro?

L’unico modo per accertarsene sarebbe osare con le parole d’ordine giuste. Lo scontro interno agli industriali potrebbe approfondirsi, con riverberi importanti nell’arena politica, qualora si metta in campo una ipotesi concreta e seria – cioè che cammini sulle gambe di una mobilitazione generale dei lavoratori più coscienti – di riduzione del tempo di lavoro. Una proposta in grado di segnare una stagione di conflitto e fare da traino ad altre rivendicazione forti, quali appunto il salario minimo e contestualmente, come chiave di volta, quella degli aumenti salariali generalizzati.

Ma perché insistere su salario minimo e aumenti salariali, quando sinora si parla unicamente di riduzione dell’orario a “parità di salario”? In realtà tale proposta sarebbe monca se non considerasse – benché diminuire gli orari sia fondamentale per la redistribuzione – la necessità di sanare l’attuale dualismo, particolarmente aberrante in Italia, del mercato del lavoro. Esso è oggi il prodotto di un capitalismo generatore di masse di precari e part-time i quali sperimentano sulla loro pelle da tempo una effettiva diminuzione del tempo di lavoro, ma nel peggiore dei modi, cioè accompagnata da zero tutele e da salari miserabili.

A fronte di questa realtà, se c’è una cosa in cui la parola d’ordine fatta ora propria dalla borghesia progressista non è del tutto sufficiente e si discosta parzialmente dagli intenti passati (il contenuto della rivendicazione è infatti quello di dare una vita degna a tutti i lavoratori, cioè poter godere di tempo libero di qualità), è che la diminuzione dell’orario di lavoro “non deve e non può accadere a parità di salario, ma è necessario rivendicare aumenti salariali adeguati al costo della vita”; “Serve la riduzione dell’orario di lavoro, legata all’aumento dei salari”[10].

Quindi lavorare meno, con migliori salari, lavorare tutti.

Il risveglio di una rinnovata lotta di classe che sappia sfidare sul campo politico la borghesia dovrebbe ripartire dal plasmare questo nuovo terreno di lotta, politicizzando il più possibile la questione del lavoro attraverso la battaglia sulle sei ore. Non certo con semplici quanto ineffettive richieste al padronato o al governo, né come ipotesi di scuola discussa senza effetti pratici nell’arena mediatica. Deve essere imposta dalla lotta di classe; posta al centro di mobilitazioni che acuiscano la contraddizione tra i vari segmenti del capitale affinché la loro rappresentanza politico-istituzionale scricchioli. Le eventuali ricadute costituirebbero un piccolo capitale politico per i lavoratori organizzati più coscienti da troppo tempo avvezzi alle sconfitte e alla manovra difensiva disorganizzata.


[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/16/ue-von-der-leyen-tutti-nellunione-devono-avere-salari-minimi-con-conte-organizzeremo-in-italia-un-vertice-globale-sulla-sanita/5933119/?utm_campaign=zonaeuro&utm_medium=twitter&utm_source=twitter

[2] https://ilmanifesto.it/i-contratti-rivoluzionari-con-la-riduzione-dellorario/; https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2020/08/25/lavorare-meno-lavorare-tutti-in-tempi-di-covid-la-finlandia-rilancia_465a6725-bc4d-45d4-bc54-89c6e4fad4e9.html

[3] https://24plus.ilsole24ore.com/art/lavorare-meno-puo-essere-antidoto-crisi-proposte-germania-e-finlandia-ADgr2Cl; https://www.raiplay.it/video/2020/09/Lavorare-meno-meglio-e-tutti—PresaDiretta-07092020-70885f19-dd1e-405d-afa3-9527b603d167.html

[4] https://www.fanpage.it/economia/blocco-dei-licenziamenti-quando-finira-e-perche-non-salva-tutti-i-posti-di-lavoro/

[5] https://sindacatounaltracosa.org/2020/09/02/e-como-sullattacco-di-confindustria-e-sul-referendum/

[6] https://liberacittadinanza.it/articoli/lavoro/la-battaglia-ora-ridurre-l2019orario-per-evitare-l2019ecatombe-sociale ; https://www.youtube.com/watch?v=4f6uVCwpxHk&feature=share&fbclid=IwAR2eWVCREnbwtw5KZoQ6yISBPYWbrQXMtPMZfjOkKVWfEVTNRApz3UUZI3o

[7] https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/2020/09/12/news/dalle_piazze_del_lavoro_un_futuro_migliore-257330/; https://www.cgt.fr/comm-de-presse/passer-de-la-parole-aux-actes

[8] https://fortebraccionews.org/2020/02/20/20-febbraio-19-gli-operai-conquistano-le-otto-ore-di-lavoro/; https://www.lordinenuovo.it/2020/04/27/la-lotta-per-la-riduzione-dellorario-di-lavoro-e-la-lotta-dei-lavoratori-per-il-loro-tempo/

[9] https://proletaricomunisti.blogspot.com/2020/09/pc-20-settembre-bonomiconfindustria-un.html?m=1&fbclid=IwAR1hvLlOQ6HQu_y7U4HZvwpWsH-Pc-vik7Rg_0ka9vjWR_aQ64KLuURbu4U

[10] https://www.cumpanis.net/orario-di-lavoro%2c-salario%e2%80%a6-e-vecchi-merletti.html?fbclid=IwAR2Kl4JkWxv_PjV5jjp0Y7_vqKQ_71BSdd_hfOhHAxQRyIQONnW_8v98LEY

One Reply to “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”

  1. la patrimoniale non serve per salvare il capitale dalla sua catastrofe sociale ed economica, ma per aumentare la necessità da parte del proletariato di rovesciarlo (da proletari comunisti) | Pennatagliente's Blog says: 3 Dicembre 2020 at 5:02

    […] insieme alla questione salariale e a quella dell’organizzazione dei tempi di lavoro, anche la questione fiscale si configura come campo di battaglia primario e oggetto di aperta […]

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