Loading...

Taglio dei parlamentari: una difesa dell’indifendibile

Taglio del numero dei parlamentari

di Davide Clementi

Dopo il rinvio legato all’emergenza COVID19, il 20 e 21 settembre gli italiani saranno chiamati ad approvare oppure rigettare la riforma costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari.

Fortemente voluta dal Movimento Cinque Stelle ma approvata da tutti i grandi partiti politici – dalla Lega al Partito Democratico, da Italia Viva a Fratelli d’Italia, con soli 14 no e 2 astenuti – la ‘riforma Fraccaro’, dal nome del sottosegretario pentastellato che l’ha proposta, dà una netta sforbiciata agli eletti del Parlamento italiano: meno 230 alla Camera, per un totale di 400 deputati, e meno 115 al Senato, per un totale di 200 senatori. La riforma cambia drasticamente il rapporto numerico di rappresentanza: ogni eletto alla Camera dovrà rappresentare oltre 150.000 abitanti (prima 96.000); ogni eletto al Senato ne rappresenterà invece oltre 300.000 (prima 188.000 circa).

La motivazione principale per l’approvazione della riforma secondo i suoi sostenitori è il risparmio che comporterà per le casse dello Stato: su ‘IlBlogdellestelle.it’ si legge[1] di un risparmio di un miliardo in due legislature, dunque in 10 (teorici) anni. Parliamo dunque di 100 milioni l’anno, equivalenti al risparmio di €1,67 per abitante della Repubblica. Stime meno ottimistiche[2] ci descrivono un risparmio di 81,6 milioni l’anno (€1,36 per abitante). In ogni caso, stiamo parlando di un risparmio che ammonta fra lo 0,005% e lo 0,007% del bilancio annuale dello Stato italiano, come afferma l’Edward mani di forbice dei conti pubblici italiani, Carlo Cottarelli[3].

Fare i conti della serva quando in discussione è quell’istituzione che rappresenta, almeno astrattamente, la volontà e gli interessi dei cittadini non fa che confermare quell’egemonia del denaro e della rigidità dei conti pubblici cui anche gli autoproclamati amici del popolo contro il liberismo sono legati come un cane è legato al guinzaglio del suo padrone.

I parlamenti – in Italia e nel mondo – sono in forte crisi. Una crisi lunga, infiammata da una molteplicità di fattori e di situazioni anche molto distanti fra loro.

Il Regno Unito è reduce da tre anni di rimbalzi, rinvii, ribattute sulla questione della Brexit, con un Parlamento di una monarchia costituzionale (senza costituzione scritta) continuo ostaggio non soltanto di governi tutt’altro che strong and stable[4], ma anche dei tranelli che poneva di volta in volta per non rispettare il voto degli inglesi nel referendum sull’uscita dall’Unione Europea.

In Francia è recente l’approvazione della contestatissima riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron attraverso il meccanismo dell’art. 49 comma 3 della Costituzione[5], che permette al Governo di sorpassare il voto parlamentare su un provvedimento per il quale si teme non ci sia la maggioranza disposta ad approvarlo. Una fortissima reazione popolare, più lunga di quella del maggio ’68, e il 72% dei francesi che giudica Macron un “autoritario”[6] non sono bastati a impedire l’utilizzo di uno strumento eccezionale per piegare la rabbia dei francesi.

E che dire del Parlamento europeo, l’unico organismo eletto direttamente dai cittadini europei che non ha neanche il potere di proporre regolamenti ma solo di approvare o rifiutare, in condizione di parità con il Consiglio dell’Unione Europea[7], ciò che gli viene sottoposto dalla Commissione europea, la quale ha il monopolio dell’iniziativa legislativa?

Il Parlamento italiano non è da meno: dall’inizio della XVIII Legislatura – quella corrente – il 32% delle leggi approvate sono leggi di conversione di decreti-legge[8],[9] ovvero di strumenti che la Costituzione giustifica per “ragioni di necessità e urgenza” e di diretta competenza del Governo; il 36% è invece dedicato a leggi di ratifica, ovvero leggi che approvano o autorizzano la ratifica di trattati internazionali.

Il nostro Parlamento produce sempre meno, sempre più a vantaggio di organi non eletti dai cittadini[10] e, è giusto ribadirlo, sempre peggio: leggi-bandiera come la legge sulle unioni civili o i “decreti sicurezza” si compongono in modo inorganico, fra articoli, commi, lettere, numeri, che spesso rimandano a leggi che a loro volta rimandano ad altre, incuranti di quel principio di chiarezza dei testi normativi cui il legislatore ha cercato di aderire all’art. 13-bis l. 400/1988 e presente negli stessi Regolamenti parlamentari[11].

Il Parlamento – e dunque i parlamentari, spesso dolosamente complici – è stato progressivamente spogliato della centralità che è propria di una Repubblica parlamentare come la nostra.

Chi accampa paragoni strambi fra il nostro sistema e quelli con numeri di parlamentari decisamente inferiori – come, ad esempio, il Congresso degli Stati Uniti d’America – compie un’operazione menzognera: gli Stati Uniti sono una Repubblica federale, dove un’amplissima gamma di poteri è affidata ai cinquanta parlamenti degli Stati oltre che al Congresso federale.

In Europa, a eccezione dello stesso Parlamento europeo – 1 eurodeputato ogni 657.371 abitanti – il Paese che ha il più alto rapporto parlamentari/abitanti è la Germania, anch’essa una Repubblica federale, con 1 parlamentare ogni 104.109: l’Italia finirebbe al secondo posto del podio dei Paesi europei, con 102.800 abitanti rappresentati per ogni parlamentare, posizionandoci globalmente appena sotto alla Malesia e poco sopra al Mali.

Non si tratta di un semplice rimpallo di numeri, di una gara fra chi ne ha di più e chi ne ha di meno: la democrazia, coerentemente col dettato costituzionale, avrebbe come scopo la partecipazione effettiva dei cittadini alla vita politica, economica e culturale del Paese.

È ormai chiaro che i cittadini non possano partecipare alla vita economica del Paese: il sindacato è sempre più prono alla controparte padronale, impedendo sul nascere ogni tipo di gestione degli apparati produttivi da parte dei lavoratori, soffocando forme innovative di lotte sociali, mettendo a tacere ogni anima di rivolta e di sciopero. La cultura rimane involucro della sola classe dominante, con media – canali televisivi, giornali, editori, radio – sempre più accentrati nelle mani di grandi società controllate da gruppi finanziari e industriali influentissimi.

Per chi adotta un punto di vista marxista, il Parlamento resta, in un momento di generale ritirata del proletariato e della classe lavoratrice, l’unico e l’ultimo strumento in grado da fungere quale cassa di risonanza per chi non ha gli strumenti economici – e dunque mediatici – per poter esprimere il primo dissenso. Non è un caso che tutto il mondo mediatico italiano abbia spianato la strada a una vasta e ormai prevalente opinione pubblica che, da decenni, si è mostrata favorevole a una riduzione del numero dei parlamentari, alimentando l’idea di una “casta” di satrapi privilegiati pasciuti e lautamente pagati e senza altra funzione che quella di ingozzarsi e tramare a danno del cittadino comune e dell’onesto imprenditore.

Ebbene, se tante di queste impressioni possono essere accolte per colpa della crescente esposizione mediatica di parlamentari inetti e incapaci, la loro riduzione di numero non solo non rimedierà minimamente al problema della qualità degli eletti – alla loro moralità – ma anzi rischia di far prevalere quella componente di incoscienti catapultati a Montecitorio o a Palazzo Madama a scapito di quei pochi in grado di rappresentare degnamente gli interessi del gruppo sociale di riferimento.

I legislatori costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano l’obiettivo di consentire una rappresentanza politica il più larga e reale possibile: vanno ricordati i tentativi di aggiornare costantemente il numero dei parlamentari al rapporto 1 a centomila abitanti da parte di alcuni costituenti, fra cui lo stesso presidente del Comitato di redazione della Costituzione Ruini[12]. Bisognerà aspettare la legge costituzionale 2/1963 per mettere un punto sulla questione del numero, fissato a 630 per la Camera (1 ogni ottanta/centomila abitanti) e 315 per il Senato (1 ogni centottantamila).

È chiaro che l’attuale riforma costituzionale – la quale, a differenza di quella Renzi del 2016 e delle altre passate, presenterà un quesito univoco – porterà a una ridefinizione dei confini dei colleghi elettorali di Camera e Senato, sfociando inevitabilmente in un aumento della dimensione dei collegi elettorali con tre effetti indiretti:

1) L’innalzamento, specie al Senato della Repubblica, della soglia naturale (o implicita) di sbarramento, che sarà assai più elevata del 3% previsto dalla soglia legale, introducendo surrettiziamente un sistema molto selettivo delle minoranze politiche o territoriali presenti su un territorio[13].

2) Il parlamentare dovrà essere collegato a una circoscrizione più ampia, più popolosa e che ingloberà aree urbane più densamente popolate e aree rurali più spopolate. È chiaro che, nell’ottica delle campagne elettorali e dell’azione parlamentare, si privilegerà il bacino di voti più ampio in grado di assicurare la rielezione invece di quello più scarno e già marginalizzato.

3) La dimensione territoriale determinerà anche un aumento dei costi delle campagne elettorali, andando a esacerbare ulteriormente la personalizzazione e mediatizzazione del confronto politico.

Questi effetti non incidono in maniera determinante sull’architettura costituzionale. La riforma non va che ad aggiornare la Costituzione al sentire del ceto partitico che ha votato a larghissima maggioranza la legge di riforma. Questo taglio netto non si iscrive, nonostante le velleitarie dichiarazioni di esponenti di maggioranza e opposizione, nel quadro di un più articolato disegno di riforma dello Stato borghese, avvertito come essenziale da più parti e continuamente abortito dagli elettori. Ciò che rende l’aggiornamento costituzionale regressivo dal punto di vista delle forze sociali conflittuali è l’ulteriore erosione del meccanismo della rappresentanza parlamentare classica in un quadro di incapacità generale di attori anche diversi dagli organi statali di sperimentare e creare nuove modalità di responsabilità politica, diretta e indiretta, anche aliene dalla forma-principe del regime liberal-democratico.

Questa riforma non fa che rendere evidente l’irrigidimento a cui sta andando incontro il regime liberal-democratico: i partiti politici, tutti espressione delle classi dominanti, debbono serrare i ranghi e ridurre le infiltrazioni di dissenso che potrebbero, anche solo remotamente, minare la presa sullo Stato. Nell’ottica di un ritorno alla conflittualità, le forze socialiste e comuniste dovrebbero ricominciare, una volta che si siano ricollegate alla realtà degli sfruttati, una sperimentazione politica che esuli dal mero rito elettoralista cui ci siamo abituati e che ha contribuito a rendere la diaspora comunista italiana un teatro fatto di personaggi in cerca di scranno.

Il parlamentarismo, per dirla con Lukacs, dovrebbe essere solo un “problema tattico”[14] della lotta di classe del proletariato. Il parlamento, lo strumento originariamente più consono alla borghesia per mantenere in piedi la finzione di rappresentare “tutto il popolo”, ha finito per essere il cuore di una liturgia ambita e ricercata da comunisti e socialisti ridotti ad abiurare al carattere conflittuale della propria proposta politica, abbracciando invece posizioni compromissorie e pacificatorie con la borghesia al comando.

Se da un lato non si può non lottare contro il parlamentarismo, dall’altro è di primaria importanza la ricostruzione di un fronte unitario che rimetta al centro lo sviluppo teorico e pratico di nuove forme di espressione politica, di organizzazione produttiva e sociale, capace di rovesciare lo stato di cose presenti. Solo allora sarà possibile guardare con distacco al parlamento, come lo strumento tattico che esso è. Fino ad allora bisognerà invece cercare di difenderlo, anche a costo di condividere una battaglia con il diavolo o, peggio, con Emma Bonino.


[1] ‘Riduzione parlamentari: con meno senatori e deputati, più risparmio e più efficienza’: https://www.ilblogdellestelle.it/2019/10/riduzione-parlamentari-con-meno-senatori-e-deputati-piu-risparmio-e-piu-efficienza.html

[2] ‘Taglio dei parlamentari, quanto risparmiamo davvero’ https://quifinanza.it/soldi/taglio-parlamentari-quanto-risparmiamo-davvero/346032/

[3] Cfr. E. FRATTOLA, Quanto si risparmia davvero con il taglio del numero dei parlamentari?, in Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, 24 luglio 2019, disponibile al link: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Nota_risparmi_taglio_parlamentari.pdf

[4] Poole, Steven, ‘Strong and stable leadership!’ Could Theresa May’s rhetorical carpet-bombing backfire?’, The Guardian, 10 maggio 2017, https://www.theguardian.com/politics/2017/may/10/strong-and-stable-leadership-could-theresa-mays-rhetorical-carpet-bombing-backfire

[5] Costituzione della Repubblica Francese del 4 ottobre 1958 https://www.conseil-constitutionnel.fr/sites/default/files/as/root/bank_mm/site_italien/constitution_italien.pdf

[6] ‘Réforme des retraites : 61% des Français sont pour le retrait’ https://www.lexpress.fr/actualite/societe/reforme-des-retraites-61-des-francais-sont-pour-le-retrait_2115962.html

[7] ‘Tutto sul Parlamento europeo/Poteri e procedure/Poteri legislativi’ https://www.europarl.europa.eu/about-parliament/it/powers-and-procedures/legislative-powers

[8] Studi Camera – Osservatorio legislativo e parlamentare Politiche della legislazione, ‘La produzione normativa: cifre e caratteristiche’ https://temi.camera.it/leg18/temi/tl18_la_produzione_normativa_nella_xvii_legislatra.html

[9] OpenPolis, Uso e abuso dei decreti-legge – speciale referendum n.4 https://blog.openpolis.it/decreti-legge-uso-abuso-dello-strumento

[10] OpenPolis, La mancanza di dibattito nelle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati https://www.openpolis.it/la-mancanza-di-dibattito-delle-leggi-di-ratifica-dei-trattati-internazionali/

[11] Si rimanda per maggiore comprensione del tema a Roberto Zaccaria (a cura di), ‘La buona scrittura delle leggi’, Palazzo Montecitorio, Sala della Regina, 15 settembre 2011, Camera dei Deputati.

[12] cfr. Francesco Clementi, Sulla proposta costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari: non sempre <<less is more>>, in osservatoriosullefonti.it, Anno XI, Fascicolo 2/2019, p. 5

[13] Si rimanda per una maggiore comprensione del fenomeno: https://sistemielettorali.wordpress.com/2010/02/24/soglie-di-sbarramento-legali-e-naturali/

[14] Gyorgy Lukacs, Sulla questione del parlamentarismo, in Scritti politici giovanili (1919-1928), Laterza, Bari, 1974

Lascia un commento

Your email address will not be published.

You may use these <abbr title="HyperText Markup Language">html</abbr> tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*