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Sanzioni, preludio e prosecuzione della guerra imperialista con altri mezzi

Sanzioni

Salvo marginali eccezioni, difficilmente nelle dichiarazioni, negli articoli, nei tweet, post, ecc., riconducibili alla variegata galassia della sinistra, più o meno estrema, si troveranno accenni alle sanzioni inflitte dagli USA a tutta un serie di paesi, da Cuba alla Repubblica popolare democratica di Corea, passando per l’Iran, la Siria, la Russia e la Cina. Quando vengono evocate con timidi accenti critici – lasciando da parte i casi disperati in cui sono addirittura invocate – ci si affanna a puntualizzare la propria disapprovazione per il “regime”, per la “dittatura”, l'”autocrazia” e via dicendo, in una penosa ricerca di rispettabilità il cui unico esito è d’indebolire la contestazione di questo brutale strumento dell’imperialismo, unendosi al coro dei suoi organi di propaganda.

Va detto che in alcuni rari casi le sanzioni hanno rappresentato uno strumento giustificato e condivisibile, tanto nei modi che negli intenti: ad esempio quelle contro il regime dell’apartheid in Sudafrica, succedutesi in varie tornate dai primi anni Sessanta sino all’inizio dei Novanta, guarda caso aggirate da quel bastione dell’imperialismo occidentale in Medio Oriente che è Israele [1].

L’idea per cui a essere colpiti sono esclusivamente avidi funzionari dei “regimi” sotto tiro, i quali non potranno così accedere a risorse sottratte a popoli in ansiosa attesa della liberazione portata dalle bombe USA, viene propalata dalle piattaforme dell’”informazione” scopertamente imperialiste. Tuttavia, una simile immagine edulcorata delle sanzioni, tanto negli obiettivi quanto soprattutto nei loro effetti, è di fatto sottintesa anche da quelle non direttamente riconducibili all’apparato propagandistico imperialista. Invalsa è la concezione di una superiorità di fondo delle società “occidentali” e dei loro sistemi di governo, i cui rappresentanti vengono tutt’al più redarguiti per occasionali strette di mano con “autocrati” orientali e “caudilli” sudamericani, ritenuti primi se non unici responsabili delle sofferenze delle popolazioni su cui governano, sofferenze sulle quali l’effetto delle sanzioni sarebbe minimo e degno al massimo di pigolii caritatevoli.

Questi ultimi si sono levati con più forza col diffondersi della pandemia del Covid-19, nel contesto della quale persino dalle pagine del New York Times ci si pronuncia a favore di un alleggerimento delle sanzioni contro l’Iran [2], sebbene si tratti probabilmente di un riflesso delle divisioni interne alla classe dirigente statunitense con i democratici, al momento, meno inclini alle ostilità verso il paese mediorientale. E infatti, tali appelli non riguardano le altrettanto devastanti sanzioni contro il Venezuela[3].

Messo da parte questo temporaneo e peloso sussulto di coscienza di alcuni pezzi da novanta dell’informazione imperialista, nell’opinione pubblica occidentale sembra dominare una sorta di incapacità a figurarsi l’impatto delle sanzioni sulle popolazioni dei paesi colpiti; a tal proposito, la vicenda che forse meglio di tutte illustra il carattere (negli effetti e talvolta nelle intenzioni) genocida [4] che tale strumento può assumere è quello delle sanzioni imposte all’Iraq per oltre un decennio. Sanzioni che, per quanto imposte ufficialmente dal Consiglio di sicurezza dell’ONU il 6 agosto 1990 con la risoluzione 661, sono state frutto della pesante influenza degli Stati Uniti [5].

La revoca o l’alleggerimento del regime di sanzioni, con una nuova risoluzione, venne a lungo contrastata da Usa e Gran Bretagna su cui dunque ricade la responsabilità del protrarsi dell’accanimento su una società in condizioni “pressoché apocalittiche”, come ebbe a definirle Martti Ahtisaari allora inviato del Segretario generale dell’ONU [6]. Giusto per dare un’idea, la carenza o la totale mancanza di dispositivi per il trattamento dell’acqua, finiti nella rete di assurde limitazioni alle importazioni, determinò un “massiccio incremento di patologie come tifo e colera”, un collasso delle infrastrutture più essenziali che ebbe come esito la morte di un numero altissimo di bambini al di sotto dei cinque anni [7]. La cultura fu a sua volta pesantemente colpita, dunque non solo la devastazione di un sistema sanitario un tempo relativamente avanzato, ma anche dell’istruzione in ogni grado e delle istituzioni accademiche, un processo che ebbe il suo culmine con la depredazione nel 2003 del patrimonio storico-archeologico del paese, il tutto sotto la supervisione, calcolatamente e colposamente negligente, degli occupanti USA[8] .

Non si tratta però solo di indifferenza di fronte alla catastrofe umanitaria generata dalle sanzioni in Iraq e altrove, il che sarebbe già grave considerata la prontezza con cui certa sinistra si indigna a ogni strumentalizzazione umanitarista imbastita dai media occidentali; vi è l’incapacità o il rifiuto di comprendere l’integrazione di questo strumento in un meccanismo di aggressione imperialista: un meccanismo basato sulla distruzione della società prima, durante e a seguito dell’assalto militare vero e proprio, in cui rientra anche la gestione del dopo che eufemisticamente si definisce “ricostruzione”, nel caso dell’Iraq un misto di divide et impera su base settaria e saccheggio liberista [9].

Un trattamento, quello inflitto all’Iraq, ripropostosi in diverse occasioni negli ultimi anni e di cui è stata vittima la già provata Siria (per altro oggetto di sanzioni sin dal 1979 a seguito della fraudolenta designazione come “stato sponsor del terrorismo”[10]); sanzioni anche in quest’occasione passate sotto silenzio, o minimizzate, da buona parte di una sinistra costantemente timorosa che il proprio decoro sia posto in discussione qualora dovesse assumere una posizione coerentemente antimperialista. Eppure, si tratta ancora una volta di misure che, lungi dall’essere “intelligenti” come qualcuno ha avuto la faccia di bronzo di definirle, si ripercuotono sulla popolazione civile, specie dal punto di vista sanitario, in particolare per quanto riguarda l’accesso ai farmaci[11].

Scenario, quello visto in Iraq e Siria, che si ripresenta in Iran e, fatte le debite proporzioni, in Venezuela e a Cuba, tutti e tre paesi in cui l’approvvigionamento di beni essenziali è fortemente limitato dalle sanzioni. Per fare un esempio, in Venezuela si stima che “oltre 300.000 persone siano a rischio per la mancanza di accesso a medicine o trattamenti” [12] e vista la recente, sebbene tutt’altro che inedita, postura bellicosa dell’amministrazione Trump nei confronti del legittimo governo di Maduro, minacciato sulla scorta di grottesche accuse di narcotraffico, le sanzioni si riconfermano preludio di ulteriori aggressioni, non esclusa quella militare.

Tuttavia, la questione delle sanzioni non va confinata a una narrazione fatta di popolazioni passive di fronte all’arroganza e allo strapotere economico/bellico dell’imperialismo occidentale a guida USA; si tratta infatti anche di una storia di resistenza e solidarietà internazionale nella quale proprio Cuba è sempre stata ed è tutt’ora all’avanguardia. L’assistenza medica di prim’ordine fornita a numerosi paesi della periferia e, nelle ultime settimane, anche all’Italia – tra cinici sarcasmi della peggior destra e sterili e ingenerose polemiche di parte della sinistra – ne è certo l’esempio più noto; ma è giusto menzionare la straordinaria capacità di resistenza che ha permesso a un isola caraibica, per decenni sotto l’embargo statunitense, di fare enormi progressi in campi come quello dell’istruzione e della sanità, sviluppando un’industria biomedica di buon livello con la produzione di vaccini e terapie, progressi sempre condivisi con spirito internazionalista [13].

Ancor più indegno appare così il comportamento assunto dagli USA nel bel mezzo della pandemia del Covid-19: dal blocco di aiuti provenienti dalla Cina destinati alla stessa Cuba, alle pressioni esercitate su altri paesi affinché rifiutino l’assistenza medica offerta dall’isola caraibica, sino a comportamenti il cui egoismo ha suscitato un guizzo di amor proprio persino nel primo ministro canadese Trudeau, di norma assi pavido nei confronti del vicino [14] .

Di fronte a ciò, una sinistra degna di questo nome, e i comunisti più di tutti, non dovrebbe aver dubbi sul proprio schieramento internazionale, mettendo da parte pretese di superiorità del tutto fuori luogo. Una questione come quella delle sanzioni richiederebbe un’opposizione senza se e senza ma ai propri governi, da identificare quali nemici principali, con in testa quello USA, respingendo risolutamente periodici tentativi di liquidare questa posizione, l’unica realmente internazionalista, con argomenti fantoccio come quello del “campismo”. Tanto più se questo conduce a occultare la gigantesca sproporzione fra la potenza di fuoco di aggressore e aggrediti, quando non la stessa distinzione tra di essi, riducendola, al pari delle sanzioni, a un dettaglio disperso in un mare di buoni propositi e propaganda imperialista in salsa democratica-socialista [15].


[1] Piero Gleijeses, Visions of Freedom: Havana, Washington, Pretoria, and the Struggle for Southern Africa 1976-1991, The University of North Carolina Press, pp. 294, 295, 296.

[2] https://www.nytimes.com/2020/03/25/opinion/iran-sanctions-covid.html

[3] https://zcomm.org/znetarticle/why-the-mainstream-media-suggests-lifting-sanctions-against-iran-while-not-saying-anything-about-venezuela-%E2%80%A8/

[4] https://news.cornell.edu/stories/1999/09/former-un-official-says-sanctions-against-iraq-amount-genocide

[5] Joy Gordon, Invisible War: The United States and the Iraq Sanctions, Harvard University Press, prefazione, p. ix

[6] http://www.casi.org.uk/info/undocs/s22366.html

[7] Joy Gordon, Invisible War: The United States and the Iraq Sanctions, Harvard University Press, p. 37

[8] Cultural Cleansing in Iraq: Why Museums Were Looted, Libraries Burned and Academics Murdered, Pluto Press, pp. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 224

[9]http://www.networkideas.org/wp-content/uploads/2017/04/Imperialist_reconstruction.pdf; https://www.globalpolicy.org/component/content/article/168/34894.html

[10] https://2009-2017.state.gov/e/eb/tfs/spi/syria/index.htm

[11] Report of the Special Rapporteur on the negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights on his mission to the Syrian Arab Republic, p. 9, https://www.ohchr.org/EN/Issues/UCM/Pages/Reports.aspx; https://www.documentcloud.org/documents/3114567-Study-on-Humanitarian-Impact-of-Syria-Related.html, pp. 20-21

[12] https://cepr.net/images/stories/reports/venezuela-sanctions-2019-04.pdf

[13] [https://yaleglobal.yale.edu/content/cuba-ailing-not-its-biomedical-industry; https://www.bmj.com/content/352/bmj.i1619

[14] https://apnews.com/2858fbaa2dd5460fa2988b888fc53748; http://www.radiorebelde.cu/english/news/us-government-urges-nations-to-reject-medical-aid-from-cuba-20200325/; https://www.politico.com/news/2020/04/03/3m-warns-of-white-house-order-to-stop-exporting-masks-to-canada-163060

[15] https://socialistforum.dsausa.org/issues/winter-2020/against-campism-for-international-working-class-solidarity/

2 Replies to “Sanzioni, preludio e prosecuzione della guerra imperialista con altri mezzi”

  1. Hezbollah e l’ingerenza USA/Israele in Libano – Ottobre says: 29 Ottobre 2020 at 9:00

    […] di prevaricazione economica — la punizione collettiva delle sanzioni che, come già sostenuto in un nostro precedente articolo sulla questione, è una prosecuzione o continuazione della guerra vera e propria —, manipolazione […]

  2. Trump e Biden. Meglio il meno peggio, ma meglio? – Ottobre says: 12 Novembre 2020 at 9:03

    […] “continueremo a usare sanzioni mirate”, rispolverando la retorica che edulcora quello che è un vero e proprio strumento della guerra imperialista; quanto alla Siria, con una faccia di bronzo non indifferente, un consigliere di Biden ha affermato […]

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