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Stato di eccezione o di confusione? Riflessioni e spunti sull’attuale crisi

Stato di eccezione

Da quando il ciclone coronavirus si è abbattuto su un Occidente capitalistico già da tempo in profonda crisi, coordinate politiche che sembravano saldamente stabilite da almeno tre decenni di restaurazione liberale hanno iniziato a vacillare. Narrazioni fin qui egemoni si sono dimostrate per quel che realmente erano – armi di distrazioni di massa – oppure controproducenti di fronte all’impatto di una emergenza sanitaria che estende ormai i suoi effetti a tutte le sfere della vita sociale. Parallelamente, nuove narrazioni sono andate formandosi nella concitazione di un momento in cui il quadro socioeconomico è in rapido e imprevedibile sconvolgimento, e sta mettendo tutti di fronte alla realtà.

La realtà è che il capitalismo, apparentemente trionfante solo fino a poche settimane fa, non era invece pronto ad affrontare l’impatto di un elemento esterno inatteso – in questo caso un virus influenzale di tipo nuovo, particolarmente contagioso e aggressivo, che induce un afflusso anomalo di pazienti nelle strutture sanitarie, tale da metterle pesantemente sotto stress se non farle collassare, con tutte le terribili conseguenze del caso. La realtà immediata, che sta emergendo impietosa, è il sottofinanziamento cronico della sanità pubblica, settore quantomai fondamentale per la collettività – e risorsa vitale per la classi subalterne – che ha aperto una faglia enorme tra il dire (di una ideologia che vuole il capitalismo come perfetto, efficiente, migliore, immortale) e il fare. L’incapacità dei governi di coordinarsi per far fronte alle priorità sociali è patente, mentre la loro attenzione è rivolta, anche qui senza successo, a come “salvare l’economia”, o meglio il profitto privato.

Né le classi dirigenti, per nascondere questa falla apertasi in maniera tanto inattesa, sembrano poter palliare in extremis a decenni di tagli approntando un’organizzazione centralizzata e snella che metta, all’improvviso e fosse anche temporaneamente, al servizio della società intera tutte le risorse necessarie a affrontare al meglio la crisi. Questo perché tali risorse sono strutturalmente e come da lunga consuetudine al servizio delle classi proprietarie, degli industriali, del capitale finanziario, a disposizione esclusiva cioè dei diversi gangli di potere che formano il sistema capitalistico.

Mentre decadono dunque nel corso di questo processo i discorsi reazionari, incentrati sulla questione dell’immigrazione, confini e identità, che hanno plasmato buona parte del terreno della recente lotta politica – lasciando per la prima volta dopo anni a bocca asciutta i leader conservatori, boccheggianti e spiazzati in cerca di nuova visibilità – non sono certo i liberaldemocratici, guardiani dell’austerità, del rigore, dell’efficienza del privato e dei “mali” del debito pubblico, a beneficiare di spazi di manovra, in una situazione che vede improvvisamente il ruolo della sanità pubblica, dei suoi lavoratori, le protezioni sociali e la solidarietà al centro della scena.

Cosa resta dunque? Restano le masse abbandonate a una gestione quotidiana che si avvita su sé stessa, demandata a governi “presi in contropiede”; e questo nonostante la Repubblica popolare cinese avesse mostrato al mondo cosa stesse arrivando. Assistiamo a una borghesia complessivamente in confusione che non può far altro che scimmiottare una parvenza di contenimento e controllo della situazione, fino a imporre misure, d’urgenza e di emergenza, precauzionali e repressive, parzialmente efficaci in termini di protezione, spesso ottusamente odiose, a tratti ridicole.

Da una parte infatti i governi devono trattare col mondo degli affari, in particolare il settore industriale privato, il quale non ha interesse a cedere sul blocco delle linee di produzione, e quindi perpetua gli assembramenti operai, luoghi di alto contagio (per il lavoratore, non certo per il padrone); dall’altra sono incapaci e impossibilitati a attuare una strategia autentica e onnicomprensiva di salute pubblica. Al di sopra plana la minaccia della speculazione dei mercati finanziari, monopoli intoccabili che fanno tremare le borse, le cui contrattazioni peraltro vanno avanti come niente fosse tra alti e bassi epocali.

Queste contorsioni sono il segno di una crisi a tutto tondo del sistema che aspettava solo di essere rivelata a gran giorno. Resta da capire quale lezione trarne e quali elementi fare nostri per rilanciare e sviluppare la lotta.

Stato di eccezione o di confusione?

Proprio sul versante delle misure repressive – dello stato d’emergenza e d’eccezione – è sembrata cristallizzarsi dapprima l’attenzione di parte dell’opinione critica e comunista. C’è chi ha visto in esse l’avverarsi di un regime poliziesco se non fascista che, col pretesto del virus, la borghesia non vedeva l’ora di instaurare. Eppure, come appare chiaro dalla sequenza degli eventi, fino all’ultimo momento la borghesia occidentale ha negato non solo il ricorso alla quarantena “dura” generalizzata, ma persino a misure risolute al fine di circoscrivere efficacemente i primi focolai. Questo perché gli amministratori del capitalismo sanno bene cosa ciò significhi: l’interruzione della ordinaria circolazione mercantile e del consumo, il blocco della produzione, quindi un intralcio alle aspettative di presa di profitto privato, al normale corso degli affari.

Poi, forzata dagli eventi, come ogni neofita convertito che vuol mostrare di saper far bene anzi meglio degli altri, la stessa borghesia attraverso le sue amministrazioni ha iniziato a prodursi in un profluvio di divieti e misure tanto “spettacolari” – e improntate all’esigenza un po’ improvvisata di “mostrarsi all’altezza della situazione” – quanto scarsamente efficaci in termini di contenimento dell’epidemia e di salute pubblica. Questo perché non sono incluse in un dispositivo globale che non sia il solo «chiudere tutto», ma preveda anche e soprattutto disposizioni sanitarie e organizzative idonee a testare ad ampio raggio e isolare i casi positivi in luoghi appositi, rinforzare il personale medico, approntare strutture adeguate ed equipaggiarle di tutta la tecnologia d’avanguardia necessaria etc. Tutte misure caldeggiate come decisive dall’OMS sulla scorta della gestione cinese, lungi dal poter essere implementate da noi.

Ragioniamo dunque: “regime”, intenti preordinati di militarizzazione, a che pro? C’è davvero una macchinazione poliziesca che usa il virus come alibi per sottrarci le libertà? L’analisi storica ci dice che la borghesia ha sempre fatto ricorso alla dittatura terroristica aperta violando le proprie norme di legalità quando, nel corso di una crisi sociale ed economica profonda, vedeva il proprio monopolio politico messo in pericolo dall’avanzare impetuoso di forze rivoluzionarie. Cioè quando i rapporti di forza tra le classi andavano ribaltandosi in favore dei dominati e bisognava ricacciarne indietro l’offensiva con ogni mezzo per preservare il proprio dominio di classe e il sistema capitalistico con esso.

Siamo per caso in una situazione analoga? Purtroppo, nessuna lotta dei lavoratori è stata così forte e radicale negli ultimi decenni da mettere minimamente in discussione il dominio politico della borghesia – che ha governato tranquillamente, con gli opportuni accorgimenti tecnici, tramite il consueto pluralismo formale e il possente apparato egemonico rappresentato dai media monopolisti in grado non solo di anestetizzare il pensiero critico, ma di portare consenso reale alle varie correnti del capitalismo, in particolare ai conservatori più gretti (come Salvini e Boris Johnson). Non solo, le forze sindacali e popolari di opposizione non sono neanche state capaci di resistere efficacemente e bloccare una qualunque delle innumerevoli recenti misure antisociali – anche dette “riforme strutturali” – promosse dai governi borghesi di destra e di sinistra, e coordinate dalle istituzioni sovranazionali. Nel frattempo, le aggressioni imperialiste sotto forma di guerre e sanzioni proliferavano, senza suscitare un briciolo di resistenza interna degna di nota, anzi, col tacito appoggio di larga parte dell’opinione pubblica.

Insomma, quale era, in tale contesto, l’interesse di cogliere la palla al balzo del virus per imporre lo “stato d’eccezione” e “limitare le libertà”?  È palese piuttosto il fastidio di dover gestire una grana di tale portata – che investe tutti gli aspetti della vita sociale – per governi abituati a seguire il pilota automatico rinforzato dal ruolo di uno Stato demolitore (dei servizi sociali) e gendarme (dell’ordine pubblico) al servizio del capitale finanziario e delle politiche dei suoi monopoli. E infatti, anziché cogliere la palla al balzo già da gennaio, quando era chiaro in Cina cosa stesse accadendo, governanti e giornalisti erano in modalità diniego e insolenza accusatoria contro quella parte di umanità, inferiore e falsa, che propaga virus coi suoi comportamenti primitivi e irresponsabili ed è obbligata così a ricorrere a misure “autoritarie” e “totalitarie”, mentendo per di più al mondo civile e democratico, che mai si sottometterebbe a tali terribili provvedimenti “dittatoriali”.

Il razzismo di tradizione coloniale è stato il segno principale del comportamento delle classi dirigenti e dei ceti intellettuali nei primi mesi della crisi, quando essa si svolgeva ancora fuori dallo spazio “sacro e civile” dell’Occidente. Non certo la ricerca del pretesto per imporre strette autoritarie ulteriori a quelle già di norma messe in conto e in agenda negli ultimi anni nei confronti di poveri, immigrati e lavoratori.

Nessun bisogno reale dunque di rinchiudere la popolazione “agli arresti domiciliari” come si usa sottolineare pigramente in questo periodo. Alla fine, il “ci stanno togliendo la libertà” è diventato il mantra degli anarco-capitalisti reazionari, gli stessi a cui questa crisi ha tolto l’arma della caccia all’immigrato. L’espressione dell’ala più oltranzista della borghesia, che non intende subordinare interessi particolari agli interessi del Capitale nel suo complesso, figuriamoci all’interesse dei lavoratori e degli strati popolari.

Dinanzi a questo muro che le si erge all’improvviso di fronte e che non è in grado di scalare, la società borghese lascia allora sul campo solo le ottuse e detestabili misure sanzionatorie e repressive che si addicono a un sistema incapace di fare altro che disseminare forze dell’ordine nelle strade come simulacro di capacità di controllo. Ma piuttosto che rappresentare una stretta “fascista e poliziesca”, benché nella forma possa sembrare così, il comportamento della borghesia riflette in sostanza lo scimmiottamento di un’autorità che le classi dirigenti non avevano prima della crisi e hanno ancora meno in questo frangente, un vero e proprio senso di inadeguatezza e impotenza.

Non stiamo assistendo piuttosto a reazioni individuali scomposte, ad attori sociali con interessi contrastanti che cercano di approfittare della situazione inedita seguendo le proprie inclinazioni e a governi che reagiscono in maniera diametralmente opposta alla crisi? Ad esempio, mentre gli esecutivi di sinistra borghese in Portogallo e Spagna regolarizzano immigrati e nazionalizzano temporaneamente la sanità privata, governi di destra borghesi e nazionalisti approfittano per una stretta liberticida nei confronti del parlamento come in Ungheria. Nel mezzo, un ampio spettro di confusione e agitazione.

Bisogna guardare dunque agli enormi sconvolgimenti collettivi, alla portata di classe che settimane come queste determinano, rimescolando le carte della storia.

Approfondire la contraddizione

Pensare seriamente questa crisi impone di rivolgere tutta l’attenzione a quella contraddizione che l’elemento esterno – il covid-19 – ha posto all’improvviso al centro della scena; alla faglia che si è aperta tra il funzionamento del sistema e la narrazione ideologica di esso.

Alle vittime causate dall’incapacità di curare opportunamente i contagiati; ai lavoratori della sanità mandati a infettarsi e morire senza protezioni né procedure adeguate negli ospedali (ci sono stati già diversi suicidi e molti morti tra il personale medico); agli operai sacrificati alla produzione superflua (cioè al profitto che da essa deriva per i proprietari, nelle fabbriche automobilistiche in Francia come negli stabilimenti industriali, grandi e piccoli, di tutta la Lombardia); ai lavoratori indispensabili alle necessità di base della vita associata (nella logistica, produzione e servizi), che mostrano plasticamente col loro ruolo come sia il lavoro a reggere la società, come la loro importanza sociale non possa più essere minimizzata o addirittura occultata. Assistiamo d’altro canto alla disperazione della Confindustria nel vedere “troppa gente a casa” (capitani d’industria compresi, parassiti la cui inutilità è in questo momento più che mai manifesta); alle convulsioni delle amministrazioni sovranazionali quali FMI, UE e BCE per garantire i mercati finanziari e le Borse.

La contraddizione insomma di un sistema capitalistico funzionale a una ristretta oligarchia e quindi non in grado di assicurare il benessere e la dignità delle classi dei lavoratori dipendenti, dei precari e dei disoccupati; del popolo lavoratore usato come massa di manovra a sgobbare in tempi “normali” e gettato in prima linea o abbandonato in tempi “eccezionali”.

Tutte cose “banali”, consuete, del capitalismo, si dirà. Certamente! Ma adesso i funzionari dell’ideologia e gli amministratori del sistema non possono più nasconderle con tanta facilità, tramite la consueta propaganda. Nessuna ragione sociale imponeva i tagli al servizio sanitario nazionale – e nel caso italiano la decentralizzazione della sua gestione su base clientelare regionale – solo la ragione mercantile dell’apertura di spazi alla penetrazione dei privati e alla possibilità di fare affari, benché spacciassero le controriforme con necessità di efficienza e risparmio per rilanciare la competitività. Guardatela ora la vostra efficienza e competitività in Lombardia, in Spagna e altrove! E come per la sanità, questo discorso si applica alle restanti istituzioni relative allo Stato sociale, nel campo dell’istruzione, della cultura e delle pensioni, terreno di battaglia infuocato ultimamente in Europa. Mai queste parole, dal verbo della dottrina liberale odierna, sono suonate così vuote come ora.

Tanto più che i governi si vedono costretti ora a riesumare quelle politiche sociali a lungo e inutilmente richieste dalle ultra-minoritarie forze di opposizione antiliberale e anticapitalista, sempre per questo violentemente represse e ingiuriate. Ad esempio, mentre da 18 mesi gli operatori della sanità manifestano in Francia contro i tagli e per reclamare più fondi – facendosi malmenare dalla polizia e ridicolizzare da governo e commentatori che definivano le loro richieste sbagliate e controproducenti – come “per miracolo” Macron afferma adesso, solennemente per di più, che la sanità “non è una merce” e sblocca fondi straordinari (o perlomeno promette di trovarli) per gli ospedali;  il governo italiano nel frattempo è obbligato a proporre politiche attive di sostegno al reddito, certo ancora largamente insufficienti, tra lo sconcerto dei fondamentalisti di mercato; e al livello europeo, persino i dogmi sacri dell’austerità iniziano a vacillare, al punto di portare a sospendere le famose regole del Patto di Stabilità.

Un mondo sta crollando. I governi della borghesia si trovano contro la loro volontà a sponsorizzare uno stato di agitazione sanitaria che spinge oggettivamente, per certi versi, in una direzione contraria agli interessi della loro classe di riferimento e del capitale: il doversi occupare di istanze sociali troppo a lungo neglette, lo smantellamento dei cui presidi istituzionali storici presenta il conto impietosamente in questo frangente. La battaglia che si annuncia dal loro punto di vista è come ricomporre questa dinamica all’interno delle compatibilità di sistema.

Rivendicazioni

Per le forze marxiste e comuniste, si tratta invece di spingere affinché le misure sociali immediatamente necessarie siano realizzate davvero e nella maniera più ampia possibile; si tratta di fare pressione affinché i costi della crisi non ricadano sulle classi subalterne; di affermare e rendere permanenti nuove conquiste sociali. Si tratta di allargare la faglia, mostrare che una preesistente situazione, già catastrofica, violenta e brutale era velata da discorsi favolistici e menzogneri, come le patetiche e tardive retromarce e concessioni dei liberali oggi in difficoltà testimoniano. Questa contraddittorietà va denunciata, anche perché perdurerà per anni. La loro confusione odierna mostra quanto le precedenti certezze non fossero altro che un castello di cartapesta col quale il capitalismo travestiva sé stesso e operava sulle spalle degli sfruttati e depauperati.

I comunisti avrebbero un’autostrada aperta per mettere sul banco degli imputati liberali e conservatori – non solo per il ritardo nel prendere le misure capaci di proteggere la popolazione – ma soprattutto per le loro sciagurate politiche antipopolari fatte di tagli, attacco ai diritti, asservimento ai padroni, privilegi fiscali, apertura ai privati, laissez-faire finanziario, che hanno condotto a questa situazione. La cosa è talmente evidente che persino l’addormentato mondo del lavoro italiano ha avuto grazie a questa vicenda un sussulto che ha portato a minacciare ed effettuare scioperi spontanei in buona parte degli stabilimenti industriali del paese. Attirandosi immediatamente le ire del padronato e dei suoi cani da guardia politici più fedeli, con inaudite accuse di “pugnalate alla schiena”, di rottura di improbabili unità nazionali.

Accuse da parte degli stessi che invece non battevano ciglio all’ipotesi di lasciar morire centinaia di migliaia di persone puntando sull’immunità di gregge. Proposta da Boris Johnson e apprezzata immediatamente dall’internazionale conservatrice che da Trump discende fino ai Bolsonaro, nel caso italiano le reazioni a tale folle idea ha una volta di più esposto la sostanziale convergenza d’intenti tra sedicenti opposti: gli pseudo-antisistema (feticisti no Euro no UE) e i fondamentalisti di mercato (feticisti pro Euro e pro UE). Un arco radical-padronale che dalla Lega arriva a Renzi e al suo movimento personale.

E chi ha espresso ammirazione per l’iniziale gestione britannica è approdato infine a invocare Mario Draghi come salvatore della Patria: sì, proprio colui che nella loro propaganda rappresentava il demonio “globalista e mondialista”. Draghi che piace per la sua autorevolezza ortodossa anche al mondo liberal-europeista, incluso un PD che fa profilo basso in attesa di tempi migliori; e ora alle destre reazionarie come testa d’ariete per liquidare l’attuale governo e sperare di ricevere il dividendo di una post crisi che, con Draghi keynesiano al governo, potrebbe annunciarsi tutto fuorché improntato a misure austeritarie vistosamente odiose e impopolari, ma pur sempre anti-sociali.  

Ma c’è una logica di fondo in tutto questo convulso riposizionarsi: l’immunità di gregge prima, purché gli affari vadano avanti! L’unione nazionale dopo, col banchiere capo in testa, purché gli affari vadano avanti!

Il risveglio di una rinnovata lotta di classe che contrasti una borghesia già intenta a preparare il terreno del dopo crisi potrebbe e dovrebbe pertanto ripartire da qui. Dalla necessità di innescare forti proteste e scioperi operai per le condizioni di lavoro, ma anche movimenti di opinione civica per la questione della salute pubblica, della sanità universale, contro l’ideologia della privatizzazione e dell’austerità etc. Da qui si potrebbe e dovrebbe avanzare verso una critica più generale al sistema capitalistico, fino a denunciarne la natura che travalica la volontà persino del più ben intenzionato dei governi il quale, anche in una situazione come questa, può poco o nulla, si dibatte alla bene e meglio, aspetta che “passi la nottata” sacrificando molti che si potrebbero e dovrebbero salvare.

Si tratta di far prendere coscienza del fatto che progredire è possibile solo facendo saltare il sistema per sostituirlo con un altro: quello socialista, di cui c’è più che mai bisogno. Come l’esempio di Cina e Cuba dimostra, i paesi socialisti hanno fatto prova di attenzione alla vita umana, prevenzione e cura in patria per poi proiettarsi in una grande e meritoria operazione di solidarietà internazionalista; le potenze capitaliste con gli USA in testa invece – allo stesso tempo incapaci e riluttanti a proteggere la popolazione – non perdono occasione di imporre nuove sanzioni (all’Iran e al Venezuela ad esempio, proprio mentre sono alle prese con l’emergenza sanitaria), minacciare i paesi non allineati e rubarsi tra loro gli aiuti che la Cina sta inviando in Europa tramite un colossale ponte aereo solidale.

In questo contesto ci sarebbero rivendicazioni molto concrete da porre per affrontare prontamente l’emergenza sanitaria:

  1. finanziamenti straordinari alla sanità pubblica;
  2. requisizione della sanità privata; requisizione per utilizzo delle strutture private (alberghi etc) come strutture di degenza per i normali malati non covid-19;
  3. chiusura temporanea di tutte le fabbriche non indispensabili;
  4. pieno stipendio per tutti i lavoratori subordinati impossibilitati a lavorare;
  5. aumento di stipendio e sicurezza totale per i lavoratori dei servizi indispensabili;
  6. assegno di sussistenza per precari, lavoratori atipici etc;
  7. distribuzione gratuita di generi alimentari e medici per indigenti e senza reddito fisso;
  8. blocco dei mutui, degli affitti e delle utenze.

Ci sono poi rivendicazioni più strutturali da agitare in parallelo che vanno nella direzione di consolidare eventuali conquiste sociali:

  1. più tasse su capitali e patrimoni per reperire fondi al fine di finanziare più Stato sociale;
  2. controllo dei capitali e coordinazione a livello internazionale nell’ottica della cooperazione fiscale e per finirla con i paradisi fiscali all’europea;
  3. stop permanente all’austerità;
  4. sussidio di disoccupazione europeo e salario minimo, riduzione dell’orario di lavoro

Tutte misure propizie a un accumulo di forze delle classi lavoratrici. E infine, occorrerà parlare di pianificazione, il che ci porta alla questione politica per eccellenza, quella del controllo dei mezzi produttivi e del credito, quella del potere di e per quale classe.

Gli esiti di questa crisi sono incerti, ma l’unica cosa sicura è che all’urgenza sanitaria seguirà un nuovo e pesante smottamento economico; che le differenti fazioni della borghesia in conflitto tra loro converranno tuttavia nello scaricare sui lavoratori e sugli strati popolari i costi della crisi, come sempre; che i governi e istituzioni cercheranno di approfittarne, sia traendo insegnamenti repressivi, sia imponendo aggiustamenti alla dottrina politica ed economia, che da rigorista e passiva potrà diventare assistenzialista e attiva nell’ottica di sovvenzionare il capitale in difficoltà.

Anche il proletariato dovrebbe fare uno sforzo qualitativo e cogliere l’occasione, cercare di riorganizzarsi per trarre vantaggio della situazione. Agire efficacemente in una congiuntura nuova potenzialmente propizia,  in cui il coronavirus avrà mostrato tutta l’importanza di questioni come sanità pubblica, solidarietà internazionale, sforzo collettivo, rafforzamento delle tutele sociali. In cui chi dirige non potrà più comandare come prima e le masse non potranno e non vorranno più vivere come prima.

2 Replies to “Stato di eccezione o di confusione? Riflessioni e spunti sull’attuale crisi”

  1. Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti – Ottobre says: 25 Settembre 2020 at 9:19

    […] un precedente articolo di analisi della fase attuale avevamo affermato che, in seguito alla crisi sanitaria innescata dalla pandemia, le società […]

  2. la patrimoniale non serve per salvare il capitale dalla sua catastrofe sociale ed economica, ma per aumentare la necessità da parte del proletariato di rovesciarlo (da proletari comunisti) | Pennatagliente's Blog says: 3 Dicembre 2020 at 5:02

    […] sociale ed economica che tutti temono. Sembra una contraddizione, e in effetti lo è. E come abbiamo già avuto modo di dire, sono queste le contraddizioni sulle quali dobbiamo innestare le nostre parole d’ordine […]

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