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Il dibattito “eurocentrico”: un’arma di distrazione di classe

sovranisti

di Alberto Ferretti

È chiaro che in Europa c’è oggi un interesse reciproco tra euro-entusiasti ed euroscettici, detti anche “sovranisti”, nel legittimarsi come uniche forze politiche in campo. Le due compagini hanno tutti gli strumenti egemonici necessari atti a promuovere questa visione, tutta interna al capitalismo e alle forze di classe che lavorano consapevolmente per mantenerlo, avendo ormai plasmato il dibattito a loro piacimento. Così, quando il sovranista è in difficoltà, il liberaldemocratico lo aiuta tramite i media, costruendone il mito di “mostruoso anti sistema”; e viceversa, quando il liberaldemocratico è in difficoltà, il sovranista lo aiuta con la propaganda becera amplificata urbi et orbi per spaventare il cittadino benpensante e moderato.

L’obiettivo congiunto e ultimo benché non esplicitamente dichiarato di questa dialettica è quello di disinnescare politicamente qualsiasi spinta di sinistra che sia anche solo vagamente di classe e popolare, cioè come minimo alternativa al neoliberalismo. Allo scopo di stabilizzare il sistema in crisi, facendo sparire dall’orizzonte del pensabile il superamento del capitalismo come soluzione ai mali sociali che affliggono le classi subalterne.

Ciò genera nel campo avverso, invero ridotto all’osso oggi in Italia e forse proprio per questo, l’illusione che, per esistere, le forze autenticamente di sinistra, socialiste e comuniste debbano prendere le parti dell’una o dell’altra fazione in lotta: più precisamente, della più forte e in ascesa, a seconda della fase. Il che fa parte della strategia del Capitale per annullare nella coscienza collettiva ogni prospettiva sociale progressista e socialista, la quale può sussistere, se non in atto almeno il potenza, solo stando in questo momento storico in assoluta autonomia, lontani da tutti gli attori di questa messinscena, per tutto il tempo che sarà necessario.

Esempio concreto ne sia la “legge schiavitù” appena varata da Orban in Ungheria, che piace alla Lega e al PD, a Macron e a Le Pen, a euroentusiasti ed euroscettici, a tutte le forze borghesi insomma, e ai loro media che infatti fanno profilo basso e non spingono eccessivamente sulla notizia, quando invece sono solerti ad alimentare ossessivamente false contrapposizioni tra liberaldemocratici e neonazionalisti su questioni – come quelle identitarie, sull’Europa o sui diritti civili astrattamente considerati – più atte a essere assorbite dall’una o dall’altra fazione, benché in termini, almeno retoricamente, antitetici.

In realtà, al di là della schiuma di superficie, siamo in presenza di due fazioni unite nell’opprimere le classi lavoratrici principalmente intorno a quattro assi non negoziabili: lo smantellamento delle leggi sul lavoro al fine di rimodulare le relazioni salariali ad assoluto favore delle forze padronali ovunque collocate; lo smantellamento delle protezioni sociali e la loro immissione nella logica mercantile e privatistica; la liberalizzazione radicale della circolazione dei capitali; servire le classi benestanti e possidenti con regimi fiscali ultra-preferenziali. La loro alleanza si chiama neoliberalismo, di cui sono varianti di progetto, e al corso neoliberale e alle sue politiche che rendono una struttura socio-economica già perversa ancora più insostenibile occorre opporsi radicalmente.

Figlia organica della crisi, cioè del capitalismo stesso che di crisi in crisi si muove per rilanciare l’accumulazione, oggi incentrata sui mercati finanziari, è l’estrema destra proiettata in quest’epoca sul davanti della scena, che gli fa scudo, e la quale esiste ed è tenuta in vita dalla borghesia liberale (tramite denaro, media, visibilità) per captare il malcontento diffuso delle masse colpite ferocemente dalle politiche neoliberali e depotenziarlo verso scopi reazionari. Questo perché la destra, anche (e soprattutto) la più abietta, garantisce sempre il mantenimento dei rapporti capitalistici di produzione. Il regime di proprietà e di appropriazione del profitto privato come sistema perenne.

Per la sinistra (vera) e i comunisti il lavoro è in queste condizioni doppiamente difficile. Finché non verrà espropriata e disarmata la borghesia, ci sarà sempre il pericolo della reazione, la quale a sua volta si nutre della crisi della borghesia per difendere il sistema che i comunisti combattono e intendono rovesciare. La critica al capitalismo presuppone autonomia ed esteriorità in relazione ai principali attori oggi sulla scena. Occorre battersi contro governo e opposizione, nella consapevolezza di muoversi su un terreno segnato pesantemente a destra da anni di egemonia proprietaria che prospera ai tempi della controrivoluzione liberale e che ormai legittima addirittura le pulsioni più retrograde e discriminatorie.

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