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Russiagate e guerre di fazione negli USA

Russiagate

Nel partito della guerra che dirige oggi gli USA è in corso una contesa furibonda intorno al Russiagate. I due campi avversi all’interno di tale partito sono: quello legato al clan Clinton saldato ai neoconservatori repubblicani, maggioritario nello Stato, nell’esercito, nelle amministrazioni e nei media; e quello eterogeneo di novizi della politica cristallizzatosi intorno alla società Trump e alla sua clientela, che detiene il solo potere esecutivo. La prima – espressione della proprietà finanziaria moderna, internazionalizzata e del capitale di Wall Street – è la fazione “antirussa”, la sua economia è il credito e la guerra di rapina; la seconda è la fazione isolazionista, la sua economia è la contesa commerciale e il mercato interno, e la cui dottrina strategica, non compiuta per non dire inesistente, ricalca stancamente le direttive dell’altra compagine, o ricade nei vecchi riflessi da guerra fredda primaria: essa è espressione del capitale nazionale, della proprietà locale e domestica rimasta relativamente indietro, per limiti oggettivi, nella corsa alla globalizzazione.

Portato al potere dallo scontento del ceto medio e degli strati popolari abbandonati mentre investiti dalla crisi – i quali hanno revocato il mandato al ceto politico classico e all’alta borghesia – Trump è l’espressione politica della media borghesia che “volendo fare da sola”, alimento un po’ dappertutto il populismo di destra, convogliato in una proposta politica fintamente “antisistema” rispetto al consenso obamiano precedente. Tuttavia, per sopravvivere a Washington, cosciente della propria debolezza e impreparazione, questa nuova cordata, intrisa di particolarismi disparati, si è circondata di generali e di uomini delle grandi banche d’affari. Cioè degli intellettuali organici alla classe, interpreti del suo interesse generale, in grado di dirigerla e accompagnarla in un frangente difficile, conflittuale e confuso. Vuole così dare garanzie, e garantire la propria esistenza, mostrarsi capace di gestire gli affari dell’Impero nei confronti dei centri di potere consolidati.

Alla luce degli attacchi che subisce, in particolare nella forma del patetico affaire Russiagate (un caso montato sul nulla), questi accorgimenti tattici sembrano non bastare: essa è pur sempre ad oggi in minoranza nello Stato e vista in parte come estranea dal consenso dem e neoconon, in posizione di debolezza strutturale per cui il nemico, stanti gli antagonismi di fondo non modificati, tenta in ogni modo di approfittare. La fazione “antirussa” del partito della guerra infatti non solo e non tanto ha diretto e dirige il Paese, quanto lo fa soprattutto nell’ottica della globalizzazione a guida USA: cioè la mondializzazione del modo di produzione capitalistico compatibile al progetto egemonico di dominio della borghesia imperialista, senza il quale non si può capire la pretesta di intervenire militarmente in ogni angolo del globo. Essa concepisce e attua le sue strategie su scala mondiale, vede la sua espansione come legata all’espansione del capitale finanziario globalizzato.

Vi è dunque una guerra di potere feroce all’interno delle élite della classe dominante statunitense, per quanto ancora pesantemente sbilanciata verso lo schieramento finanziario, che proietta egemonia mondiale. I nazional-liberali cercano di parare i colpi degli attacchi feroci dei settori dominanti dell’aristocrazia finanziaria. Dalla logica interna di quersta lotta, la parte che detiene il potere politico-economico reale non sarà disposta a lasciare a Trump mano libera, pretenderà mediazioni.

Si prefigura dunque uno sbocco che metta in sordina le differenze e gli antagonismi delle due fazioni, almeno temporaneamente. La grande proprietà dei monopoli finanziari che gioca su più tavoli dovrà pur fare una scelta: una giunta militare, o un impeachment e una “pacificazione”, che blocchi il conflitto di poteri nell’interesse superiore del dominio della classe nel suo insieme. Tanto più in un momento di espansione finanziaria dei mercati, in cui la borghesia imperialista con perno a Wall Street necessita di un solido governo del suo ceto politico più affidabile di riferimento, dopo la lunga depressione che ha portato alla frantumazione del tessuto produttivo e alla riconversione e ristrutturazione di vecchie aziende, lasciando sul campo decine di milioni di lavoratori pur di salvaguardare i profitti.

La competizione elettorale che ha portato Trump al potere si è intersecata a metà di questo percorso di riconversione, raccogliendo il malcontento sparso e convergendolo verso un programma della borghesia nazionale revanscista proprio in un momento di ripresa dei grandi affari speculativi. La crisi politica che Trump portava con sé, cristallizzata nell’odierna lotta tra poteri, arrivava in controtendenza alla normalizzazione finanziaria e all’euforia di un’economia industriale sottomessa alle esigenze espansive del settore finanziario e dei più moderni monopoli tecnologici, di cui Clinton sperava di raccogliere i frutti. Ulteriore e latente contraddizione che sta incrinando l’interesse generale e la saldezza del dominio della borghesia USA sul Paese e sullo scacchiere internazionale, in un contesto di emergenza di forze socialie  economiche immani dalla Cina popolare – che stanno cambiando per sempre gli equilibri del mondo – e sulla scia della sconfitta politico-militare degli USA e della NATO in Siria.

Entrambe le sue fazioni, e tutti i gruppi di potere al loro interno, espressione della collissione tra i due tipi di proprietà e rapporti sociali corrispondenti – uno con proiezioni internazionali come necessità della sua espansione, l’altro in retroguardia rispetto a questo progetto egemonico globale – sono in egual modo una iattura per il mondo, un’ipoteca sul progresso sociale, un pericolo per la sopravvivenza del genere umano e come tali devono essere trattate dalle forze dell’emancipazione e del lavoro in Occidente. Dal risultato della loro lotta si decide purtroppo il destino di larga parte del mondo, a seconda delle prossime guerre genocide che l’Impero scatenerà.

One Reply to “Russiagate e guerre di fazione negli USA”

  1. Russiagate e guerre di fazione negli USA – parte 2 – Ottobre says: 26 Marzo 2019 at 12:50

    […] Parte prima: “Russiagate e guerre di fazione negli USA” https://lottobre.wordpress.com/2017/10/31/russiagate-e-guerre-di-fazione-negli-usa/ […]

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