Un governo in stato confusionale si gioca le sue ultime carte con un referendum sulla riforma costituzionale, inizialmente previsto per ottobre, ma la cui data tende a slittare nella misura in cui Renzi si rende conto che il NO potrebbe prevalere.
La controriforma messa in cantiere dal duo dei figli di papà Renzi/Boschi prevede principalmente un depotenziamento del Senato che diventa una camera alta “alla francese”, con dinosauri parcheggiati su poltrone dalle vaste quanto vaghe attribuzioni legislative, provenienti dai feudi regionali e provinciali; un organo rappresentativo delle autonomie regionali composto da 100 senatori (invece dei 315 attuali) che non saranno eletti direttamente dai cittadini.
Il Senato non sarà più uguale alla Camera, bensì dotato di poteri meno estesi, benché non esautorato. Quel che preoccupa, è la legge maggioritaria truffa chiamata Italicum che si innesta sulla riforma costituzionale. L’Italicum prevede che il partito/lista che ottenga il 40% dei voti riceva un premio di maggioranza che lo conduce al 54% dei seggi parlamentari; la legge prevede inoltre una soglia di sbarramento al 3% su base nazionale, senza possibilità di coalizione. Consegnando così ad un singolo partito di minoranza una Camera blindata per i numeri parlamentari sia pure posticci, l’Italicum è stato pensato e voluto per favorire i due maggiori partiti.
Il problema è che questa impostazione, nata da famoso patto del Nazareno quando PD e Forza Italia erano i partiti dominanti, è saltata ora che il Movimento 5 Stelle sembra essere il primo/secondo partito nazionale, cosa che spinge Renzi da una parte a ritardare la data del referendum, dall’altra ad aspettare il pronunciamento della Corte costituzionale il 4 ottobre per decidere della legalità della nuova legge elettorale. In caso di parere negativo, tutto potrebbe essere rimesso in discussione, il che potrebbe addirittura essere un buona notizia per il governo.
Insomma grandissima è la confusione sotto il cielo delle riforme italiane, l’unica cosa sicura è che il padronato e la finanza spingono per l’approvazione di riforme in senso autoritario che permetterebbero agli esecutivi di applicare le ricette liberali senza contrappesi e di forza, in modo da aprire la strada alla dittatura sempre più diretta del capitale.
Per tutte le forze progressiste votare NO a una torsione autoritaria del genere sembra naturale: tale riforma rappresenta un arretramento rispetto alla costituzione del ’48 di cui gli stessi comunisti protagonisti della lotta partigiana furono artefici. Inoltre, i comunisti in regola generale sono per l’abolizione totale del Senato (storicamente orpello aristocratico delle democrazie borghesi) – non per una sua riforma pastrocchio elaborata per accontentare le baronie locali e foriera di nuovi bizantinismi procedurali.
Ancor più importante, da comunisti, è combattere per il proporzionale puro. Infatti, in un sistema parlamentare in cui il potere è invariabilmente in mano alla borghesia coi suoi partiti di destra e di sinistra che si danno il cambio alla guida del governo (e la storia insegna cosa succede quando i partiti operai riescono da soli o in coalizione nella titanica impresa di prendere il potere in tale sistema nonostante gli scogli rappresentati dal controllo mediatico e materiale esercitato dalla borghesia sulla vita politica) i comunisti pretendono che la classe operaia – se non può accedere al potere – sia per lo meno rappresentata al suo giusto valore senza ingegneria elettorale distorsiva della volontà del proletariato.
Dunque, rispetto al referendum di ottobre il NO si impone per almeno 4 ragioni: non si elimina il Senato ma se ne fa una camera a sé stante, alimentando la confusione nel processo legislativo; si rafforza il controllo dell’esecutivo sulla Camera che diventa un passacarte del governo; si distorce col premio di maggioranza ancora di più se possibile la volontà elettorale, già di per sé falsata in un sistema borghese; e tali regressioni sono imposte da un governo praticamente illegittimo, completamente assoggettato ai diktat dei grandi gruppi industrial-finanziari e del capitale finanziario di cui l’Unione Europea è l’espressione politica.
Con la riforma costituzionale e con l’Italicum un’unica forza politica, anche se minoritaria, potrà decidere senza contrappesi questioni fondamentali, dalla distruzione dello Stato sociale, alle leggi sul lavoro, alla guerra imperialista. Tali riforme servono solamente a recepire, concepire e velocizzare i provvedimenti richiesti dalle istanze reazionarie dei mercati, dalla UE, dalla NATO, facendo della “volontà popolare” una chimera e una foglia di fico alle velleità dittatoriali del partito unico dei mercati, più di quanto non lo sia mai stata fino ad ora.