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USA: guerra di razze e guerra di classe

2020-03-04_18h47_00di Alberto Ferretti

Tre poliziotti sono stati freddati due giorni fa a Baton Rouge, in Luisiana, dopo i 5 abbattuti a Dallas il 7 luglio scorso e diversi attacchi più o meno riusciti registrati in tutto il Paese nelle ultime settimane. Qesto come reazione, sembra, all’assassinio recente di un cittadino afroamericano da parte della polizia.

Tutti sanno che il razzismo è endemico negli USA – Paese fondato sullo schiavismo – e quando la polizia uccide un cittadino, ci si concentrara sull’origine etnica della vittima, specialmente se afroamericana. Il fatto che dei neri cadano sotto i proiettili delle forze dell’ordine è visto allora come una fastidiosa distorsione di una “grande democrazia” che per altro garantisce ai cittadini benessere e sicurezza. In conseguenza delle “uccisioni degli afroamericani” altri afroamericania attaccano agenti di polizia. Di qui violenze e disordini.

Messa così, tutto porta a suppore che in effetti il problema della polizia USA sia esclusivamente il razzismo. L’eterno dibattito da talk show intorno alle divisioni razziali – fieramente osteggiato dai repubblicani – si riaccende infervorando i liberal radicali, per poi essere saggiamente ricomposto dalle parole moderate dei democratici moderati… e spegnersi infine negli appelli morali banali e inutili dei benpensanti.

Potrebbe continuare così per secoli, e in questa presentazione dei fatti preparata dai media e dalla politica, è insita una strategia mediatica funzionale al governo, dove prosperano l’immobilismo e la reazione. Una rappresentazione che allontana scientemente il dibattito dal vero problema, di cui non si discute mai.

La mattanza

La polizia USA ha le mani sporche di sangue come nessun’altra polizia al mondo. Essa uccide più di 1200 persone all’anno. Le vittime sono registrate in tempo reale in questo database gestito dal Guardian – che vi invitiamo a consultare, poiché molto istruttivo. Per quanto riguarda il 2015: 600 vittime sono di razza “bianca caucasica”, l’altra metà è composta da neri, nativi, ispanici e asiatici. Il tasso di omicidi per milioni di abitanti è più alto tra i neri, seguiti dai nativi e dai bianchi. Le cifre si confermano per il 2016, dove si contano già 600 vittime. 

Ora, se la polizia fosse mossa unicamente e principalmente dal razzismo, sarebbe quantomeno difficile spiegare tali dati. Nessuno nega che la comunità nera sia in proporzione più vessata di altre – nonostante una borghesia nera molto attiva e partecipe nelle istituzioni, nella polizia, esercito, mondo degli affari e… alla Casa Bianca! Sconvolge però il fatto che non vi sia intenzione di indagare sulle ragione del terrore, ma unicamente sul suo aspetto formale, ovvero in che modo questo terrore colpisca secondo un grado variabile una comunità piuttosto che un’altra.

Eppure, una delle informazioni più drammatica che emergono dai dati non è la pur orrenda disparità razziale della violenza di Stato, ma l’ampiezza della violenza di Stato stessa. Il razzismo, connaturato alla società americana, è un aspetto che viene ad innestarsi su questa tendenza omicida degli apparati di sicurezza USA. Eppure l‘abominio di migliaia di assassinii extra giudiziali sembra quasi essere meno importante del fatto che all’interno di questa mattanza alcune minoranze siano in proporzione più rappresentate di altre.

Le classi dominanti americane, almeno quelle più moderne e meno retrive, non hanno problemi ad ammettere infatti che vi sia un problema razzista nel loro Paese.  Ma in questo modo evitano pure di associare il razzismo al problema del capitalismo americano che garantisce profitti a pochissimi e miseria a molti, e necessita di apparati di repressione sempre più terroristici per controllare una società in miseria. 

Società in piena disintegrazione e abbandono, tenuta insieme dal più imponente Stato di polizia che esista in terra, dove i cops fanno sfoggio di tecnologie militari testate prima in Iraq e Afganistan. Abuso di violenza e calpestamento sistematico dei diritti umani di base sono pane quotidiano. 

Il lascito di un passato segregazionista fa emergere nella contabilità degli omicidi di massa la forte proporzione della comunità afroamericana in percentuale più povera e ghettizzata. Ed è nei ghetti e tra i poveri che la polizia colpisce di più, poiché il livello della violenza è esasperato dall’abbandono sociale, colpisce come un forza di occupazione in terra straniera, come l’esercito USA fa nei paesi che invade e bombarda. Più questa società è ingiusta e basata sul privilegio di pochi, più gli apparati di repressione devono essere brutali per sedare la rivolta popolare e garantire i privilegi dei pochi cui lo Stato serve gli interessi.

Siamo di fronte a un grave problema sociale, in cui uno Stato imperialista usa metodi illegali dallo stesso punto di vista borghese contro la propria popolazione proletaria, brutalizzandola quotidianamente. La polizia degli Stati Uniti d’America non uccide solo perché razzista, ma anche perché al servizio di uno Stato oppressore delle classi popolari e delle minoranze nel suo insieme.

Contro la violenza di Stato

Se il problema fosse veramente solo il razzismo, la polizia, per sconfiggere tale piaga, dovrebbe forse iniziare paradossalmente – in seguito a campagne di sensibilizzazione – a sforzarsi di uccidere meno neri, al fine di raggiungere perlomeno il tasso di omicidi dei bianchi? In tal modo asseconderebbe indubbi criteri anti-razzisti. Sarebbe anzi la logica conseguenza di campagne di denuncia impostate su un antirazzismo liberal scollegato dall’anticapitalismo, l’anticolonialismo e la lotta si classe. 

Ma avremmo fatto un passo avanti sulla questione? Francamente no. Le campagne che marciano sul sentiero del razzismo delle classi dominanti – seppur in senso contrario – avallandone di fatto l’impostazione, sembrano non cogliere l’intero problema, ed essere in questo senso controproduttive.

Esse ritengono che il razzismo debba essere debellato prima di ogni altra cosa, tra l’altro perché causa della violenza poliziesca. Certo, è nella violenza poliziesca che si riversa anche l’aspetto razzista della società americana. Nulla indica che la violenza omicida della polizia possa tuttavia scomparire una volta “debellato” il razzismo; mentre è chiaro che combattendo la brutalità poliziesca in generale, e incentrando la propaganda intorno alla presa di coscienza di questo elemento, inevitabilmente ci si batte anche contro la deriva razziale insita nella violenza di classe.

L’assassinio di massa dei cittadini da parte delle forze dell’ordine non è e non dovrebbe essere vista unilateralmente come una questione razziale, ma come una questione universale, altrimenti si inocula nella società una divisione artificiale, di modo che i bianchi si convincano di non essere toccati da tale problema. Quando invece è vero l’esatto contrario. Ma è esattamente ciò che le classi dominanti, attraverso i loro organi di governo, politica e media, vogliono: dividere per meglio regnare, impedire la presa di coscienza collettiva, puntando sull’escusivismo insito nelle rivendicazioni identitarie.

Non c’è nulla di estremo e radicale nel rivendicare di non essere uccisi per strada dalla polizia del proprio Paese. Diritto umano di base – quotidianamente violato negli Stati Uniti – è piuttosto una giusta rivendicazione moderata e liberale. Il fatto che il governo USA cerchi di confondere le acque per occultare la violazione abnorme di questo elementare principio civile, e che il dibattito accenda gli animi, non è altro che la spia della fascistizzazione estrema e della barbarie in cui versa lo Stato nord americano.

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