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Note sul socialismo con caratteristiche cinesi

socialismo con caratteristiche cinesi

di Alberto Ferretti

Viaggiare nella Repubblica Popolare Cinese oggi è un’esperienza sorprendente. Al livello di sviluppo, i progressi sono a tal punto tangibili e inattesi – soprattutto agli occhi del viaggiatore occidentale, nutrito dai luoghi comuni della stampa assuefatta all’anticomunismo e al complesso di superiorità eurocentrico – da lasciare in un primo momento interdetti. La differenza tra la cupa propaganda sulla Cina immaginaria, veicolata dai media e dai governi, e la realtà sul posto colpisce in maniera flagrante.

I pregiudizi svaporano via via che si percorrono le città, dove il viaggiatore trova condizioni di vita elevate, con infrastrutture persino più moderne rispetto a quelle europee, e un livello di organizzazione superiore. Lo si vede dappertutto, nelle strade, nelle stazioni, nella gestione urbana, negli aeroporti. L’inesistenza di criminalità e violenza urbana – dovuta all’assenza quasi totale di senzaatetto e mendicanti – sembra essere inoltre il corollario socialista di questo sviluppo relativamente ordinato.

Qui la differenza con le metropoli europee è vertiginosa, e riflette il fatto che le disuguaglianze e la povertà, che ancora esistono in Cina, operano più al livello geografico, che non al livello sociale. Nello specifico, sono le province dell’entroterra ad essere ancora incomparabilmente più povere delle province dell’Est dove si è concentrato fino ad oggi l’essenziale dello sviluppo industriale e urbano, ma all’interno delle varie zone le condizioni di esistenza sono relativamente uniformi, con picchi di benessere, ma non con picchi di abbandono, degrado o miseria. Occore notare in proposito, che la Cina è probabilmente l’unico paese in via di sviluppo in cui non vi siano slums o bidonville (1) che invece abbondano ovunque sia in America Latina che in Asia e, per la verità, benché di minore entità, anche nelle ricche città occidentali.

Volendo schematizzare all’estremo: l’impressione è che Pechino rappresenti il Socialismo, Shangai il Capitalismo, altre città (come Xi’an, Suzhou, Pyngyao) un esempio dello sviluppo misto che la Cina popolare ha intrapreso da trent’anni a questa parte. A Pechino la pubblicità è quasi inesistente, nel resto della Cina più presente, senza mai raggiungere i livelli di inquinamento visivo e acustico, nonché di degrado estetico, delle città europee. Essa si concentra sui beni di consumo delle marche occidentali e cinesi – in particolare nel settore della moda e delle automobili – e questo rispecchia il modello di sviluppo proprio alla Cina contemporanea. E qui veniamo alla discussa questione del “socialismo di mercato” cinese.

Il socialismo con caratteristiche cinesi

Siamo in presenza di una strategia di incorporazione di una sfera capitalistica all’interno del sistema socialista, con tutte le contraddizioni che ciò comporta, risultante dall’attuazione delle “Quattro modernizzazioni” (2) di Deng Xiaoping, successore di Mao. Ciò fu necessario per lo sviluppo delle forze produttive in un Paese agrario pre-industriale e pre-capitalistico quale era la Cina rivoluzionaria: in un certo senso, il governo cinese sta sviluppando rapporti capitalistici, in provetta e parzialmente, cosciente della contraddizione che essi genera all’interno di un sistema misto di chiaro orientamento socialista (3).

Questa parte di capitalismo è stata lasciata sviluppare e perfezionare in settori quali la moda, commercio e catene di fast-food, automobili, informatica e oggettistica, articoli di consumo, costruzioni. D’altra parte, l’economia nazionalizzata concentra l’industria pesante: mineraria, petrolifera, siderurgica, reti e telecomunicazioni, aeronautica, settoore navale e militare – e questa predominanza del settore statale pubblico, insieme alla proprietà cooperativa in grande espansione (pensiamo a Huawei, ma in generale molto diffusa in ambito agrario) fa della Cina un bersaglio della propaganda borghese occidentale: essa non cede le risorse strategiche al controllo privato.

Ancor più fondamentale, il credito nazionale è controllato dallo Stato tramite i quattro colossi pubblici preposti al finanziamento dell’economia: ICBC (Industrial and Commercial Bank of China) prima banca al mondo; Agricoltural Bank of China; Bank of ChinaCostruction Bank of China: sono le grandi banche commerciali del Paese controllate dal fondo sovrano statale, che alimentano i differenti settori strategici della crescita economica, sulla base della politica industriale definita dal Governo. Per il resto, esistono innumerevoli quanto minori banche detenute dai governi locali che si incaricano di finanziare i progetti minori e il credito al consumo.

Economia che – sia detto per inciso – si sviluppa secondo le linee definite nei piani quinquennali: si tratta cioè di un’economia pianificata. Tutti tendono a minimizzare o offuscare questo punto quando parlano a vanvera del “capitalismo selvaggio” cinese, non rendendosi conto di riprodurre così la demonizzazione anticomunista della stampa borghese, in particolare anglosassone, che pretende fare un torto alla Cina attribuendole in maniera stereotipata i mali, in questo caso perfettamente riconosciuti!, del nostro sistema economico.

Questa democrazia economica, che non può prescindere dalla pianificazione e dal controllo pubblico della maggior parte dell’economia e in particolare dei suoi settori più avanzati e strategici, include dunque un polo di mercato gestito da rapporti di proprietà simili alla proprietà privata borghese; polo di per sé meno importante, ma viste le proporzioni della Cina, di entità colossale. Da qui l’inevitabile ascesa di singoli capitalisti cinesi al rango di miliardari.

Ciò non sembra tuttavia essere entrato in contraddizione antagonistica col carattere proletario del potere statale poiché, date le particolari condizioni economiche della Cina ai tempi della Rivoluzione, l’alleanza con la borghesia nazionale era cosa ammissibile (e teorizzata dallo stesso Mao) in quanto borghesia patriottica nei confronti dell’imperialismo. Ne risulta che in prospettiva la Repubblica popolare sta svolgendo anche i compiti storici propri alla borghesia, come la liquidazione all’epoca dei rapporti feudali e la modernizzazione industriale recente. La costruzione del socialismo emerge dal e nel completamento di questa fase di sviluppo. Ovviamente tutta la sfida per il Partito e per il governo è quella di non lasciarsi sfuggire di mano il settore privato di cui si servono.

Per ora ciò è assicurato dal fatto di aver operato l’esproprio politico integrale della borghesia, in tre modi: il primo è la democrazia popolare di cui parleremo in seguito; il secondo è l’opera di persuasione nei confronti della nuova classe capitalista acquisita alle posizioni della classe operaia: far entrarare alcuni capitalisti nel PCC è riflesso di questa linea (meglio averli dentro che fuori, dove potrebbero diventare veicolo di destabilizzazione occidentale); il terzo è la repressione nei confronti degli elementi controrivoluzionari legati al capitale monopolistico, che hanno ad Hong Kong, ex colonia britannica che gli inglesi hanno trasformato in paradiso fiscale mafioso, la base operativa. 

Per riassumere:

1) Vi fu una prima fase di fondazione del nuovo potere popolare, di unificazione linguistico-amministrativa, di alfabetizzazione di massa: questa fase rivoluzionaria è identificata in Mao Zedong e Zhou Enlai, è la fase della Liberazione del popolo cinese, dell’unità e indipendenza del Paese e delle nazionalità che lo compongono, precondizione necessaria e base sulla quale poter innestare lo sviluppo economico.

2) Dopo il sostanziale esaurimento della fase di sviluppo impostata sul modello collettivizzato sovietico (dovuto anche alla situazione di terribile arretratezza agricola di un Paese che non poteva contare allora su alcun bagaglio tecnologico, anche a causa della funesta rottura con l’URSS), che comunque favorì una buona crescita economica e un notevole sviluppo sociale durante l’epoca maoista, le “Quattro Modernizzazioni” prendono il largo, e con esse l’autorizzazione a sviluppare un surplus commerciale nelle campagne. Fu la scintilla che diede il via al nuovo decollo economico. Questa seconda fase è identificata con l’opera di Deng Xiaoping, e applicata dai suoi successori Jiang Zemin e Hu Jintao. Jiang fu l’ideatore delle Zone Economiche Speciali (la prima fu quella di Pudong, a Shangai, città di cui era Sindaco) in cui gli investimenti esteri furono autorizzati ad affluire nei limiti stabiliti dal piano. Essa costituisce indubbiamente la fase più “capitalista” della storia della Repubblica Popolare.

3) Terza e attuale fase, avviata col XII piano quinquennale nel 2012: la consolidazione industriale e la costruzione di una possente nuova democrazia popolare diretta dal partito della classe operaia, col passaggio della Cina da Paese in via di sviluppo a Paese sviluppato e “moderatamente prospero” (3) nel 2020. Questa fase si identifica in Xi Jinping, Presidente della Repubblica dal novembre 2012, ed è caratterizzata dal passaggio dalla quantità (tassi di crescita a due cifre raggiunti grazie a un export vertiginoso, un’attività economica caotica e tendente alla produzione di merci a basso potenziale per il mercato estero) alla qualità (elevamento del tenore di vita e dei consumi interni, riconversione ecologica, miglioramento dei processi di qualità di prodotto, urbanizzazione sostenibile, Stato sociale e Stato di diritto). Al contempo assistiamo al rafforzamento del ruolo dirigente del Partito e della “dittatura democratica popolare” (4).

Come funziona la democrazia socialista in Cina

La democrazia cinese, in quanto democrazia popolare, è una variante della democrazia sovietica. Essa è impostata intorno alle assemblee che eleggono i comitati popolari – mentre in URSS era basata sui Soviet, ovvero i comitati dei lavoratori legati ai luoghi di produzione. I comitati popolari sono distribuiti dal più piccolo centro di campagna, al villaggio, al quartiere, per risalire alle città, ai distretti e alle province. Si tratta di una rete diffusa e capillare, carratteristica del sistema al contempo orizzontale e piramidale proprio a tutti i regimi socialisti.

La democrazia proletaria si fonda sulle libere elezioni dei cittadini a questi comitati popolari di base. Una volta eletti, i delegati al comitato popolare assicurano la prossimità tra cittadini e istituzioni. Il loro ruolo è di rispondere direttamente alla popolazione, raccogliere le esigenze e portarle alle istanze superiori (ad esempio il comitato di quartiere al comitato cittadino), vegliare sull’attuazione delle decisioni e attuare le politiche in conformità al mandato ricevuto dagli elettori e ai piani del governo centrale. Essi sono responsabili direttamente di fronte agli elettori, i quali hanno il potere a loro volta di ritirare la delega nel momento in cui giudichino il delegato inadeguato o colpevole di  non agire in conformità col mandato.

Il ruolo dei delegati consiste inoltre nel riunirsi per votare i rappresentanti delegati alle istanze superiori. Di conseguenza, in Cina l’elezione dei rappresentanti all’Assemblea Popolare Nazionale avviene per via indiretta attraverso tale sistema piramidale di assemblee e comitati: i cittadini riuniti in assemblee eleggono dei comitati, i cui rappresentanti a loro volta si riuniscono in assemblee per eleggere i propri rappresentanti di livello superiore e così via fino all’elezione dei membri dell’ANP. 

Nei sistemi socialisti multipartitici (come la Cina appunto e la Corea del Nord) all’interno delle assemblee e comitati possono essere rappresentati tutti i partiti, gli indipendenti e senza partito, i rappresentati di associazioni culturali, sindacali e militari. 2000 sui 3000 seggi dell’ANP sono appannaggio del PCC, gli altri per gli 8 partiti minori riuniti nel Fronte Unito (5). In maniera piramidale, di elezione in elezione, di livello in livello, il governo è connesso direttamente al tessuto sociale, cosciente delle sua situazione reale e delle sue esigenze, in grado così di attuare le politiche necessarie.

Il PCC lavora dentro questa democrazia di base come partito di massa composto da 90 milioni di aderenti, il 7% della popolazione cinese, col ruolo guida in quanto avanguardia della classe operaia. Esso seleziona i quadri al suo interno attraverso le procedure democratiche – voti congressuali, centralismo, selezione dei dirigenti su basi meritocratiche e anzianità di servizio, notazione delle performance dei quadri etc. – ed è tenuto a rispettare altissimi standard di qualità nel pilotare e risolvere i problemi delle masse sulla base degli input che riceve dalla base. Solo così puo mantenere la sua credibilità e autorità politica intatta di fronte al popolo.

Pertanto la democrazia socialista cinese è “costituita da due organizzazioni di base in cui le informazioni vengono scambiate tra il popolo e il governo: le sezioni locali del Partito Comunista Cinese (PCC) e i comitati di villaggio/comunità/città, col Partito che gioca il ruolo di primo piano e i comitati il ruolo di realizzazione pratica del lavoro. Più di tre milioni di organizzazioni di base e milioni di rappresentanti di centinaia di migliaia di villaggi, paesi e città mantengono il governo centrale costantemente e direttamente collegato con la sua gente”. (6) 

Milioni di persone sono coinvolte in questo sistema assembleare e partecipano così attivamente alla vita pubblica. La sintesi politica del lavoro democratico svolto dal tessuto dei comitati spetta al governo, in mano a un’amministrazione reclutata col metodo meritocratico, che elabora politiche sulla base delle esigenze delle masse raccolte attraverso i comitati popolari.  La più elevata formulazione teorica di questo movimento risiede nella riflessione continua in seno al Partito da cui nascono i piani quinquennali (oggi ad esempio la priorità assoluta è tirare fuori dalla miseria e urbanizzare decine di milioni di contadini poveri) (7).

Palese la differenza sostanziale coi nostri sistemi borghesi, dove le decisioni sono in mano a un pugno di privilegiati eletti direttamente nel Parlamento, e una ristretta classe di individui non eletti nei CDA delle grandi industrie e delle banche, nella Borsa. Il governo borghese è giocoforza sconnesso dalla base della società e connesso al solo mondo mediatico, padronale e finanziario; le politiche elaborate sotto dettatura dei potentati economici egemoni, i quali hanno tutto l’interesse a mantenere un ceto parassitario che gravita intorno a Parlamenti, sempre attivo nel costituire e oliare i comitati affaristico-elettoralisti di cui si nutrono i differenti gangli di potere del capitalismo.

Conclusioni

La Repubblica Popolare Cinese è sul buon cammino, e ciò è talmente vero che il nuovo Segretario Generale e Presidente Xi Jinping è attaccato da tutte le parti sui media borghesi occidentali. Egli è dipinto sempre più come un tiranno e un nuovo Mao (come se potesse essere un insulto! tanto più che in Cina le effigi e i ritratti di Mao sono dappertutto) per il semplice fatto che non sta smantellando il socialismo e il potere operaio – come fece Gorbatchev in URSS per intenderci – al fine dare in pasto la Cina al capitale finanziario.

Al contrario, sta rafforzando il Paese e il partito in particolare lottando ferocemente contro la corruzione, identificata come veicolo prioritario della destabilizzazione del Paese dall’interno (8), continuando la via delle riforme economiche e amministrative – quella dell’Esercito Popolare di Liberazione e il progetto di cooperazione internazionale denominato “Nuova via della seta” sono probabilmente le più ambiziose (9) – e inaugurando l’immenso cantiere dello Stato sociale, in vista degli obiettivi fissati per il 2022 di una società moderatamente prospera, libera dalla miseria, moderna e urbanizzata.

E come diceva Mao: ” essere attaccati dal nemico è un bene, non un male poiché ciò dimostra che abbiamo tracciato una linea di demarcazione nettissima tra noi e il nemico. Se esso ci attacca violentemente, dipingendoci con i colori più cupi e denigrando tutto quello che facciamo, si tratta di una cosa ancora migliore, poiché ciò dimostra non solo che abbiamo stabilito una linea di demarcazione netta tra il nemico e noi, ma anche che abbiamo conseguito notevoli successi nel nostro lavoro” (10).

I successi della Cina popolare sono in effetti strabilianti, soprattutto se paragonati a quelli dei suoi vicini, ugualmente liberatisi dal giogo coloniale nel Dopoguerra – come l’India, il Pakistan, il Bangladesh, la Birmania, la Thailandia, le Filippine, l’Indonesia etc. – , ma che hanno intrapreso una via di “sviluppo” capitalistica e restano ancora impantanati nel sottosviluppo, nella miseria diffusa, nell’impunità dei capitalisti voraci, nella dipendenza neo-coloniale dal benvolere delle potenze occidentali e di conseguenza con fosche prospettive all’orizzonte.


(1) Samir Amin https://monthlyreview.org/2013/03/01/china-2013/

2) Deng Xiaping, discorso al CC del PCC del 30/09/1919 http://en.people.cn/dengxp/vol2/text/b1290.html

(2)https://giulemanidallacina.wordpress.com/2016/05/03/ma-la-cina-e-uneconomia-di-mercato/

(3)http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-11-03/per-2020-cina-punta-una-societa-moderatamente-prospera-112221.shtml?uuid=ACWJ3TSB

(4) Cf. Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, Mao Zedong, 1957

(5) https://en.wikipedia.org/wiki/United_Front_(People%27s_Republic_of_China)

(6)http://thediplomat.com/2016/03/chinese-capillary-democracy-can-western-democracies-learn-from-china/ ;

(7)http://www.opinione-pubblica.com/xi-2016-anno-decisivo-per-societa-moderatamente-prospera/ 

(8)http://www.cinaforum.net/il-presidente-xi-lancia-la-teoria-dei-quattro-principi-onnicomprensivi-287/ ; http://www.agichina.it/focus/notizie/dal-pcc-la-nuova-dottrinabr-/-dei-quattro-comprensivi ; http://www.cinaforum.net/quattro-comprensivi-xi-anti-corruzione-312/

(9) http://www.wsj.com/articles/president-xi-jinpings-most-dangerous-venture-yet-remaking-chinas-military-1461608795?mod=e2tw ; http://temi.repubblica.it/limes-heartland/one-belt-one-road/

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