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Crisi per chi? L’Europa regina dei dividendi

Crisi per chi?

2020-03-04_14h41_50di Alberto Ferretti

Quando si parla di crisi sarebbe sempre opportuno porsi la domanda: Crisi per chi?

Per noi, la risposta non è difficile: la crisi è innanzi tutto per la classe operaia, per i lavoratori, vi è inoltre grande sofferenza tra gli artigiani e i piccoli-medi imprenditori. Per i grandi capitalisti, l’alta borghesia degli affari e l’aristocrazia finanziaria invece i tempi non sono mai stati così floridi.

Un’ulteriore conferma viene da un rapporto HGI (1) in cui si analizzano le performance del pagamento dei dividendi, ovvero della remunerazione dei capitalisti. Secondo lo studio pubblicato lunedì 18 si conferma che:

1) I dividendi pagati da società quotate sono in forte aumento nel mondo al secondo trimestre, 11,7% rispetto all’anno precedente. L’ammontare è pari a 426,8 miliardi di dollari (circa 318 miliardi di euro).

2) È in Europa che i dividendi hanno visto la crescita più robusta, in particolare di Francia dove sono stati distribuiti 40 miliardi di dollari (+ 30,3% grazie in particolare a società come le Assicurazioni Axa, o la banca BNP Paribas), il che rende il Paese più grande distributore di dividendi in Europa, seguita dalla Germania e dal Regno Unito, rispettivamente a 33,7 miliardi con una progressione rispettivamente del 9,7% e del 3,9%.

3) Al di fuori dell’Europa, il maggiore incremento è stato osservato in Giappone (+ 18,5%), raggiungendo 25 miliardi di dollari, un record nel Paese. Gli Stati Uniti seguono la stessa tendenza, con un incremento del 13,8%, che permette tutto il Nord America di aumentare del 12%, con il 98,5 miliardi di dollari in dividendi pagati.

4) Questa tendenza globale è destinata a confermarsi, conferma HGI, che si aspetta, ” la crescita più significativa a partire dal 2011″.

Dunque, al contrario di quello che racconta la vulgata di distrazione di massa dei media e della politica, c’è un’Europa che brilla. È l’Europa del Capitale. L’Europa della classi possidenti, dei ceti superiori. Questo dimostra quanto in Europa il capitalismo stia maturando e si avvia verso lo stadio di concentrazione monopolistica su scala continentale, sul modello degli USA. (2)

Questa è la realtà. Mentre gli stipendi e le pensioni vengono tagliati, i contratti precarizzati, la disoccupazione mantenuta artificialmente ad un livello elevato, i servizi pubblici smantellati, c’è una classe che, attraverso il semplice possesso di tutte le attività economiche piu fruttuose, riscuote dividendi per miliardi. Questi profitti, questo eccedente proviene direttamente dalla compressione del Lavoro di cui sopra. Eccedente tassato molto meno del Lavoro, e per il quale esistono comodi paradisi fiscali.

L’ideologia Borghese: interesse generale e interesse nazionale

Ma non è lecito esprimersi in questi termini, che poi ci accusano di essere ideologici e comunisti. E al posto di questa realtà ci raccontano la favola tendente a farci credere di essere tutti sulla stessa barca. La menzogna secondo cui l’arricchimento di chi sta al vertice della piramide sociale sia solo una contingenza, un fattore decorrelato dalla crisi e dalle ricette per uscire dalla crisi, uno sfortunata coincidenza, certo deprecabile da corregge, ma suvvia, che ci si focalizzi su altro, invece di guardare così in alto!

Al massimo, alcuni benpensanti potranno concedere che si tratta di comportamenti eccessivi da parte di multinazionali cattive ed egoiste, dimenticando che dietro le multinazionali ci sono gli uomini che le detengono, che questi individui appartengono a una classe sociale ben precisa, e che questa classe sociale economicamente dominante è anche la classe politicamente dominante.

Ci raccontano, in nome dell’interesse nazionale, del nostro destino comune, che dovremmo tutti stringerci intorno ai nostri governi, i quali garanti dell’interesse generale fanno del tutto per proteggerci. Dunque, soprattutto evitare i conflitti sociali e lasciar passare le misure che la Bibbia liberale impone come “naturali” rimedi per la crisi: lo smantellamento del codice del lavoro, della previdenza sociale universale, della sanità e della scuola, l’affidamento ai privati dei servizi pubblici.

Il conflitto necessario: crisi per chi?

Ora, è chiaro che il conflitto non lo si inventa, non è una fisima per comunisti. Il conflitto è strutturale al modo di produzione capitalistico, in quanto proveniente dall’antagonismo degli interessi economici che strutturano la società divisa in classi.

Difatti, nella misura in cui degli individui si federano intorno ad interessi comuni e lottano coscientemente per essi, si da una classe sociale. I lavoratori, quando si sono strutturati come classe con le loro organizzazioni di riferimento, hanno lottato, alimentato il conflitto, e strappato progressi sociali ed economici ai padroni.

Quando smettono di lottare, oltre a non riconoscersi più in quanto classe (ma al massimo come individui atomizzati e impotenti), accade che i padroni, che hanno una forte coscienza di classe e praticano quotidianamente la lotta di classe, si riprendano tutto, come stanno facendo oggi. La loro prosperità, manifestata nei dividendi a pioggia elargiti dalle loro aziende, è una delle tante forme del loro assoluto predominio.

Per questa ragione gli Stati, che sono al servizio della classe detentrice del potere economico, in quanto strumenti nelle loro mani, predicano incessantemente l’ideologia della pace sociale, poiché essa in queste condizioni, sotto questo sistema, è pace sociale a senso unico, e va in direzione degli interessi dei capitalisti.

Quindi no, i numeri e l’analisi obiettiva dei rapporti economici ci dicono che non siamo tutti sulla stessa barca: questa è pura ideologia, di uno Stato che mentre media gli interessi e le divergenze delle classi possidenti illude di occuparsi dell’interesse generale, e propaga questa visione in maniera egemonica, nei media, nella cultura, nella scuola.

Non c’è nessun interesse nazionale, per una borghesia che “dissolve ogni rapporto in un rapporto monetario”; livellando gli standard di tutti i Paesi intorno alla società di classe prodotta dall’industria e spolpata dalla finanza. L’interesse nazionale perde significato di fronte all’interesse finanziario.

L’illusione di far parte di una stessa comunità serve però al livello ideologico e di propaganda allo Stato per federare tutti gli sforzi nazionali – quindi di tutti gli individui, di tutte le classi – allo scopo di incanalare l’attività sociale collettiva unicamente intorno ai bisogni e interessi delle grandi aziende private che, per quanto internazionali nella loro attività, sono sempre legate alla Nazione di provenienza.

Questa classe tiene in pugno la società usando come pretesto un interesse generale che loro stessi rispettano solo quando coincide col loro interesse particolare, che non è quello dei lavoratori e della stragrande maggioranza del popolo tutto intero.


(1) http://www.lemonde.fr/economie/article/2014/08/20/la-france-championne-du-monde-des-versements-de-dividendes_4474014_3234.html?xtmc=hgi&xtcr=1

(2) In quest’ottica va interpretata la paura delle società finanziarie che venga meno l’Eurozona, in quanto costituirebbe un ripiego nazionalistico non adatto alla fase monopolistica del capitale. L’UE è quella punta della triade del capitalismo avanzato a non aver ancora completato la fase di liquidazione del vecchio capitalismo in favore del nuovo, come gli USA e il Giappone hanno fatto (liquidazione dialettica, in quanto  le due forme possono convivere per decenni, l’importante è che ve ne sia una egemone, quella superiore, quella monopolistica). Con la crisi la mutazione ha preso un’accellerazione decisiva.

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