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Rosa Luxemburg e la rivoluzione tedesca dimenticata

Rosa Luxemburg

di Alberto Ferretti

Il 15 gennaio 1919 Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, dirigenti comunisti rivoluzionari tedeschi, furono assassinati a Berlino dalle milizie Freikorps, le bande armate al servizio degli industriali e dalla polizia, in una caserma di periferia. Giustiziati barbaramente senza processo.

Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht erano all’epoca membri del Partito socialdemocratico tedesco, ma il loro marxismo era da tempo in contrasto con quello professato dalla direzione del Partito. Essi avevano creato una corrente più conseguente – oggi diremmo marxista-leninista – chiamata Lega di Spartaco, che vedeva nella Germania devastata dalla guerra e dalla crisi economica un terreno fertile per la Rivoluzione.

Il loro assassinio fu il frutto di molteplici fattori. Tutto iniziò nell’ottobre 1918, quando le masse lavoratrici tedesche si sollevarono: la Rivoluzione, sull’esempio dell’Ottobre russo, sembrava possibile. E in una certa misura si realizzò. I consigli operai presero il potere a partire da novembre 1918 in diverse città dell’impero, l’insurrezione si generalizzò. Delegati di diversi partiti e movimenti di sinistra entrarono nei consigli; gli stessi dirigenti socialdemocratici – non certo entusiasti rispetto agli eventi rivoluziari, ma opportunisticamente obbligati a seguire le masse in rivolta, che costituivano il loro bacino elettorale – furono votati dagli operai, insieme alle forze radicali, anarchiche e comuniste, nei nuovi organi di autogoverno rivoluzionario, alla stregua dei Soviet russi.

Gli spartakisti, benché portatori di una linea nettamente rivoluzionaria, erano in minoranza nei nuovi consigli e nei comitati rivoluzionari. Vera e propria avanguardia intellettuale del movimento operaio, il loro radicamento tra le masse era però – al tempo di quella che è passata alla storia come “rivoluzione spartakista” – molto debole. Essi lottavano tra gli operai, ma come frazione minoritaria, nascente, rispetto agli altri partiti della classe operaia.

Eppure, viste le terribili condizioni della vita operaia, la situazione internazionale – con la Repubblica dei Soviet appena nata in Russia – e l’ostinazione spartakista a promuovere un punto di vista rivoluzionario tra le masse, la Germania nella forma del suo vecchio sistema sembrava collassare sotto il peso delle proprie contraddizioni. Mentre Repubbliche operaie nascevano in ogni angolo dell’impero, Berlino rimaneva però relativamente esente dall’ondata insurrezionale, e strutturava a poco a poco, al livello militare e politico, la resistenza del vecchio ordine alla Rivoluzione.

Poi nel gennaio 1919, una grande manifestazione indetta a Berlino contro il governo sfuggì di mano ai suoi organizzatori e virò all’insurrezione generale. Gli spartakisti, guidati da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, ebbero finalmente l’occasione di essere in prima linea, nella stampa, nei circoli, sulle barricate dei quartieri operai. Ma l’insurrezione fallì e fu soffocata nel sangue, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht giustiziati, i loro cadaveri gettati in una fossa comune.

Il processo rivoluzionario continuò fino al 1923, anno in cui la reazione riuscì infine a normalizzare a colpi di polizia, bande fasciste e opportunismo parlamentare di sinistra le forze rivoluzionarie, per fondare la Repubblica di Weimar che aprì le porte al Nazismo incubato dalle milizie padronali contro-rivoluzionarie dei Freikorps. L’epilogo di una gloriosa lotta di emancipazione fu dunque la barbarie nazista: ecco purtroppo ciò che resta di questo nobile ma fallimentare episodio del movimento operaio internazionale.

Ragioni di una sconfitta

Perché la Rivoluzione, vincente nell’arretrata Russia zarista, non riuscì a imporsi nella ben più avanzata Germania imperialista? Si può affermare senza paura di smentite che la dirigenza socialdemocratica contribuì scientemente alla sconfitta della Rivoluzione. L’operato dei dirigenti del partito fu perlomeno ambiguo: facendosi eleggere nei consigli operai e allo stesso tempo sedendo in Parlamento insieme ai partiti monarchici e borghesi, contribuirono a spegnere lo slancio rivoluzionario del proletariato tedesco.

Inoltre gli spartakisti – benché portatori della linea rivoluzionaria – non avevano ancora creato lo strumento adeguato per applicarla: il partito. Sopravvalutarono le loro forze, sottovalutarono quelle dell’avversario, a causa del mancato radicamento, non riuscirono a valutare la reale maturità rivoluzionaria degli operai tedeschi tendendo, soprattuto Liebknecht, all’esaltazione politica dettata del momento (1).

Le conseguenze storiche di questo fallimento sono indicibili: è lecito ipotizzare come una Rivoluzione vittoriosa in Germania avrebbe fatto uscire dall’isolamento internazionale la neonata Repubblica dei Soviet. Si sarebbe saldato così un blocco sovietico da Berlino a Mosca e questo avvenimento avrebbe determinato condizioni completamente nuove per la Rivoluzione mondiale tanto attesa dai rivoluzionari russi.

La Russia sarebbe passata da avanguardia del proletariato a Paese arretrato del socialismo, come ebbe modo di dire Lenin. La guida sarebbe passata alla ben più progredita, civilizzata e capitalisticamente sviluppata Germania, con le sue classi operaie infinitamente più numerose, istruite e coscienti delle masse russe, la sua straordinaria forza industriale, la sua incomparabile potenza economica e culturale, la sua posizione geografica al centro dell’Europa. Sarebbe caduta l’Italia, già in preda alle convulsioni rivoluzionarie del Biennio Rosso, gli stati centrali, la Spagna e la Francia.

Al contrario, la sconfitta facilitò l’ascesa del fascismo in Germania, determinò le condizioni che portarono all’isolamento internazionale dell’URSS, costretta a diventare il baluardo del Socialismo accerchiato, a difendersi da sola – nella sua arretratezza – contro l’aggressività capitalistica, a indurirsi per sopravvivere in un ambiente ostile. Lo sconforto per la sconfitta della Rivoluzione tedesca non piegò però la determinazione dei bolscevichi, che invece seppero mantenere quella lucidità necessaria ad instaurare il “Socialismo in un solo Paese”, consapevoli dei rischi che correvano. Il barbaro assassinio dei loro compagni tedeschi prefigurava chiaramente il loro destino se la controrivoluzione – o come amano dire i media oggi, la democrazia liberale – avesse vinto.

Una parte delle responsabilità degli eventi non può non ricadere sul movimento comunista tedesco, frammentanto e incerto all’epoca, incapace di strutturarsi intorno a un partito e dipendente dalle strutture socialdemocratiche, quindi inadatto a generalizzare le lotte, privo com’era di organizzazione e sostanzialmente ininfluente nell’infondere alle masse il senso e la politica generale degli eventi in corso. Scavalcato a sinistra da gruppi radicali, dallo spontaneismo anarcoide di alcune frange estreme e a destra dagli influentissimi socialdemocratici dai quali troppo tardi presero le distanze.

Gli spartakisti esprimevano dunque la più chiara linea rivoluzionaria, in particolare Rosa Luxembourg – la cui profondità teorica senza pari costituiva lo sviluppo più avanzato del marxismo in Europa occidentale – ma non lo strumento in grado di applicarla. Ciò non ha aiutato la Rivoluzione, e li condannò a morte. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht hanno pagato cara la loro fede rivoluzionaria, la difesa a oltranza degli interessi della classe operaia. Il loro sacrificio resta nei cuori del movimento operaio, e la loro memoria onorata da chiunque creda nella libertà del Lavoro e nell’emancipazione umana dal giogo del Capitalismo.


(1) Questa tesi è esposta da Chris Arman, militante trotkista britannico, nel suo ottimo libro sulla rivoluzione tedesca: *The Lost Revolution: Germany 1918 to 1923. Cf: https://www.amazon.com/Lost-Revolution-Germany-1918-1923/dp/1931859086

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