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Repressione operaia, in Francia non si ferma

Repressione operaia

di Alberto Ferretti

Nove operai condannati a due anni di prigione. Una fabbrica chiusa e delocalizzata. 1173 operai licenziati. Azionisti e dirigenti del gruppo più in forma che mai. Questo è il bilancio dell’affaire Goodyear, il gigante mondiale dei pneumatici, che nel Gennaio 2014 decretò la chiusura dell’impianto produttivo di Amiens, Nord della Francia, regione già sinistrata dalla de-industrializzazione e dalla disoccupazione.

Oggi è arrivata la condanna per quei lavoratori, militanti della CGT, prima confederazione generale del lavoro, la CGIL francese, che parteciparono attivamente alle proteste nei giorni di fuoco seguiti all’annuncio di chiusura del sito. Ma vogliamo rassicurarvi, niente di veramente grave è accaduto, che giustifichi una pena così pesante – a parte il suddetto licenziamento di 1173 operai, che ovviamante la “giustizia” non processa né condanna.

I media stamattina riportavano la notizia così: alcuni lavoratori appartenenti al sindacato hanno sequestrato per 30 ore due dirigenti della multinazionale. Punto. Senza contestualizzazione, lo spettatore è portato a credere che dei cattivissimi sindacalisti, in spregio alla volontà pacifica dei lavoratori non sindacalizzati, alla stregua di malviventi o terroristi, siano arrivati un bel mattino in fabbrica con l’intenzione di sequestrare i capi, e chiedere un riscatto.

Nulla di tutto questo ovviamente. Accadde invece che a conclusione di sterili negoziati, dopo l’annuncio della direzione della chiusura definitiva, due dirigenti dell’azienda furono trattenuti in fabbrica per una giornata dai lavoratori esasperati nel corso di un’assemblea infuocata. Un “momento di rabbia”, come ammesso dagli stessi accusati; un modo per segnalare all’opinione pubblica addormentata da questioni reazionarie o da fighetti radical-chic la tragedia che gli operai e le loro famiglie, e con loro il territorio tutto, stavano vivendo nel silenzio e nell’umiliazione da anni.

Sequestro di persona, la versione e la condanna dei giudici. E questo nonostante i responsabili dell’azienda avessero ritirato la denuncia, consapevoli da una parte (a differenza dei giudici che vivono nella bolla metafisica dei palazzi della legge) della durezza delle condizioni cui i lavoratori erano sottoposti e dello shock provocato dall’abbandono ingiustificato del territorio da parte di un produttore di tale stazza.

Dall’altra, poiché non c’era nulla da denunciare. Due ricchi dirigenti hanno perso 24 ore della loro vita ad aspettare seduti in un ufficio, senza alcun pericolo né minaccia di nessun genere, come da essi pubblicamente ammesso, e senza privazioni materiali di sorta, che l’occupazione della fabbrica terminasse, mentre 1173 lavoratori perdevano il futuro e si rovinavano la vita a causa delle scelte aziendali.

Si è trattato insomma della reazione proletaria estrema alle politiche degli azionisti del gruppo Goodyear, necessitato a delocalizzare per andare a sfruttare gli operai del secondo e terzo mondo. Ovviamente il governo sedicente socialista all’epoca non alzò ciglio, a parte blaterare le solite litanie sul dialogo, quando i margini di negoziato erano inesistenti. La proposta padronale è infatti sempre la stessa: o dimenticate le vostre protezioni sociali, e accettate stipendi più bassi, oppure delocalizziamo.

Operai e famiglie si trovarono di fronte a questo ricatto. Immaginate la disperazione, voi cosa fareste? Ovviamente giudici, giornalisti, capitalisti, dirigenti, politici, intellettuali borghesi, non possono immaginare questa disperazione, dall’alto delle loro posizioni di privilegio, ma voi, lavoratori salariati?

I settori più avanzati delle forze sindacali ingaggiarono una dura battaglia, non farlo sarebbe stato indegno: obiettivo ri-localizzare la produzione, salvaguardare il lavoro e gli stipendi. Inutile premettere che comportamenti come quelli del gruppo Goodyear sono direttamente responsabili della desertificazione industriale di larghi panni di territorio dei Paesi a capitalismo maturo come i nostri. Salvare il lavoro vuol dire far rivivere regioni oggi abbandonate. Ma insomma, queste sono considerazioni sediziose di fronte alla necessità dei capitalisti di fare profitti dove più gli aggrada.

Tuttavia i giudici, imbeccati politicamente dalla campagna anti-operaia messa in piedi dal governo socialista, hanno deciso di mandare un segnale al movimento operaio. Già il diritto di sciopero oggi è sotto attacco, figuriamoci episodi concitati dettati dalla disperazione nel corso della lotta sociale. Dal famoso episodio della camicia strappata al dirigente di Air France mentre annunciava il licenziamento di 3000 lavoratori qualche mese fa, i media, la giustizia e la politica fanno eroicamente fronte comune in difesa di chi non ne ha bisogno: i ricchi e i padroni, ovvero la parte più forte e tutelata della società. Fedele a questa linea, la forza pubblica ha dispiegato tutta l’arguzia della sua scienza giuridica contro la parte più fragile della popolazione, come al solito, mostrandosi implacabile coi deboli, e servile coi forti.

Ecco cosa il Capitalismo offre agli operai in Europa oggi: o cedono ai ricatti e accettano le peggiori condizioni possibili di lavoro, oppure sono portati all’esasperazione, impossibilitati a rivendicare i propri diritti e infine incriminati.

In particolare, la Francia si conferma sempre più al centro delle manovre reazionarie europee: gli operai condannati alla prigione, i militanti ecologisti ai domiciliari preventivi, lo Stato d’urgenza imposto a ogni tipo di manifestazione, pena la prigione e la gogna mediatica. Ma in tutta Europa non si contano più, nel silenzio generale, i licenziamenti per chi sciopera contro le nuove contro-riforme sul lavoro – l’ultima oggi in Italia a Pisa -, le incriminazioni fasulle e lo sciacallaggio mediatico contro le rivendicazioni sociali organizzate sui luoghi del lavoro.

Sono necessari veri partiti comunisti e operai in questi frangenti. Essi non devono lasciare sole queste avanguardie operaie in lotta, devono contribuire a organizzare queste lotte in una prospettiva più generale. Altrimenti l’esasperazione, le derive estreme dello spontanesimo possono risultare controproduttivi e funzionali alla repressione borghese, facilmente strumentalizzabile dai media e dai benpensanti. Col risultato che la lotta non incide, ma incide la sua rappresentazione mediatica distorta, per cui il movimento operaio – che si tratti di sindacati, associazioni o partiti – non è altro che teppaglia violenta, arrogante e privilegiata. Difficile ribaltare di più la realtà senza diventare ridicoli, eppure è quel che passa sui media ogni giorno senza trovare contrappesi adeguati.

Dov’è in tutto ciò la solidarietà internazionalista degli altri sindacati europei, almeno quelli di classe e non corrotti dal sistema, troppo rinchiusi nel loro recinto riformista e piccolo borghese per abbracciare la dimensione europea dello scontro di classe in corso?

Quando il Lavoro è sotto attacco è la classe operaia la prima a cadere sotto la scure della repressione, nelle persone dei suoi militanti e dirigenti in prima linea sui luoghi di lavoro, della sua frazione più avanzata, consapevole, quindi cosciente e combattiva. Quella che non si rassegna ad accettare in silenzio il destino assegnatogli dal Capitale, e per questo demonizzata e attaccata senza sosta.


http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/01/12/la-condamnation-d-anciens-salaries-de-goodyear-a-de-la-prison-ferme-jugee-ignoble-et-inacceptable_4846063_1653578.html

http://www.lemonde.fr/economie/article/2016/01/12/neuf-mois-de-prison-ferme-pour-d-anciens-salaries-de-goodyear_4845750_3234.html

http://www.bbc.com/news/magazine-23055008

 

http://ilmanifesto.info/contratti-si-moltiplicano-i-licenziamenti-dei-delegati-cgil/

http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2015/11/28/01016-20151128ARTFIG00042-des-militants-ecologistes-assignes-a-residence-le-temps-de-la-cop21.php

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