Il padronato europeo continua a esigere sacrifici dai lavoratori, usando come pretesto una crisi di cui essi non sono certo colpevoli. Stamattina il Medef – corrispettivo francese della Confindustria italiana – anch’esso guidato da un imprenditore figlio e nipote di grandi imprenditori, già presidenti della stessa istituzione in passato, ha esortato Hollande a procedere alla semplificazione dei contratti, ovvero la loro ulteriore flessibilizzazione e smantellamento della contrattazione collettiva.
Sembra evidente che i 50 miliardi versati in tre anni nelle tasche degli imprenditori dal governo socialista non bastano. La musica è sempre la stessa: essi attendono con ansia il loro Jobs Act, per poter disporre a piacimento e a poco prezzo della manodopera – da licenziare e riassumere a seconda delle necessità di profitto sul mercato.
L’internazionalizzazione su scala europea del conflitto di classe è evidente, anche se abilmente mascherata da questioni mediatiche identitarie. Immigrazione, religione e diritti civili astrattamente considerati occupano il dibattito, i media al servizio delle classi dominanti soffiano sul fuoco delle divisioni identitarie, settarie e religiose in seno alla società.
Il perché è evidente: esacerbare le differenze comunitarie, religiose, culturali – piuttosto che mettere in risalto ciò che unisce – è la tattica per far dimenticare alle classi popolari l’unica differenza che conti: quella legata al conflitto di classe, la differenza tra sfruttatori e sfruttati, che scinde la società alle sue fondamenta, e sulla quale si innestano tutte le inevitabili derive e tensioni in seno al corpo sociale. Una strada insomma per alimentare lo scontro tra poveri.
I media parlano dei fatti di Colonia, di attentati smascherati ogni giorno, di immigrazione, mentre lo smantellamento delle tutele sociali è visto come il corso naturale della società a cui ci si dovrebbe adeguare senza fiatare. Contro ogni logica, contro ogni dato economico che non sia il profitto privato, la criminalizzazione dei lavoratori “troppo protetti” riluttanti a mollare i loro “privilegi” – così sono chiamati oggi i diritti sociali acquisiti in anni di dure lotte – diventa senso comune, invece di essere presa per quello che è: propaganda filo-padronale, atta a nascondere l’attacco europeo ai lavoratori.
In particolare grazie ai commentatori di radio, tv e giornali, desiderosi di essere alla moda, di navigare sull’onda dei pregiudizi condivisi, privilegiati in quanto protetti da salari e cachet elevati, dalla rete di conoscenze dei salotti mondani, provenienti dallo stesso bel mondo che ha tutto l’interesse a fragilizzare i lavoratori. Questi signori si permettono ogni giorno di dare lezioni ai lavoratori additando le loro pretese come l’ostacolo alla ripresa di un’attività economica altrimenti pronta a sgorgare dal sottosuolo.
I lavoratori devono essere consapevoli del fatto che la “congiura del silenzio” imposta dalla grande stampa al conflitto di classe – cui corrisponde il discorso politico secondo i quale la distinzione destra/sinistra non esiste più (poiché la verità sta scritta nei libri del capitalismo, e i liberali ne sarebbero i profeti) – rappresenta invece una delle parti più aggressive della moderna lotta di classe, condotta con successo dalle classi capitalistiche contro i lavoratori.
Instillare nell’opinione pubblica il seme delle divisioni settarie, aizzare odi trasversali parlando sempre, costantemente, incessantemente di presunte identità, valori e tradizioni varie, spingere a occuparsi solo del proprio orticello (il particolarismo): ecco l’arma più insidiosa della propaganda borghese. Una volta scansato il conflitto sociale, ridotto a un orpello del 20esimo secolo, il campo è libero per esagerare i fatti di cronaca, ponendoli sempre in un’ottica di scontro tra civilizzazioni, inventare tensioni che non esistono fin quando televisione e politica non le mettono in scena, dare fiato alle trombe più retrive delle egoistiche rivendicazioni personali.
Il tutto, senza contestualizzare la dipendenza dei malcontenti dalla crisi sistemica del Capitalismo in corso ormai da 8 anni, che aggrava a dismisura il conflitto latente tra Capitale e Lavoro, tra socializzazione della produzione e appropriazione privata del profitto, cioè la contraddizione stessa del capitalismo al suo stadio imperialista. La contraddizione che semina violenza urbana, ghettizzazione, segregazione e abbandono dei territori, de-industrializzazione, disoccupazione di massa, impoverimento e fragilizzazione sociale.
Diritti formali e diritti sostanziali
Il problema dell’esercizio dei diritti e delle libertà formalmente riconosciute dai regimi borghesi è largamente sottostimato, per non dire bandito e silenziato dal dibattito pubblico. Quando arretra la base sociale dell’emancipazione – ovvero il movimento operaio e le sue rivendicazioni di diritti economico-sociali legate al lavoro – arretrano inevitabilmente tutte le sfere dei diritti civici, poiché l’esercizio di essi viene ricondotto solo a coloro che se lo possono permettere.
Il discorso degli pseudo intellettuali borghesi, dei media e dei politici presuppone che tutti vivano nella bambagia, che esistano individui per i quali fare quel che si vuole non trova potenzialmente nessun ostacolo materiale, solo limiti di tipo giuridico-culturali. Ma per la stragrande maggioranza della popolazione, fare ciò che si vuole è ostacolato da innumerevoli impedimenti di origine economica, spesso invalicabili, e se valicabili a costo di enormi sforzi.
La scelta è limitata dalle risorse; i bisogni e le stesse aspettative condizionate dalla consapevolezza, essa stessa condizionata da livello di studio e di lavoro dipendente dallo status economico della classe sociale di provenienza; la libertà repressa quotidianamente sul posto di lavoro, o dissolta nel “tempo libero” della disoccupazione indotta; le possibilità definite dall’orizzonte geografico di provenienza, esso stesso legato alle disponibilità economiche – e quando si tratta di una periferia o provincia abbandonata, violenta e lontana, libertà e diritti civici servono e contano poco; così come poco contano per le masse di diseredati, clochard e immigrati che vivono in strada in cerca di sopravvivenza.
Parallelamente, la scelta democratica, la tanto sbandierata volontà popolare “è, nel migliore dei casi, uno dei fattori che contribuiscono, esprimendosi periodicamente con le elezioni, a determinare una parte degli indirizzi governativi. Nelle elezioni, però … entra in azione un molteplice sistema di pressioni, intimidazioni, esortazioni, falsificazioni, artifici legali e illegali, per cui l’espressione della volontà popolare viene ad essere assai gravemente limitata e falsificata.
E il sistema opera nelle mani e a favore non solo di chi sta in quel momento al governo, quanto di chi detiene nella società il potere reale, che è dato dalla ricchezza, dalla proprietà dei mezzi di produzione e di scambio, e da ciò che ne deriva, incominciando dall’effettiva direzione della vita politica, sino alla immancabile protezione delle autorità religiose e di tutti gli altri gangli di potere che esistono in una società capitalistica” (1)
Da una parte i governi europei applicano una selvaggia linea anti-operaia, dall’altra fanno i progressisti astratti nascondendosi dietro singoli provvedimenti di legge che non costituiscono un contrappeso perché non danno il benché minimo sollievo alle classi popolari. Finché esisterà la società divisa in classi, l’effettiva libertà e l’effettiva emancipazione – dal bisogno e dal lavoro salariato capitalistico – saranno parole prive di senso, non rimpiazzabili da libertà civili individuali, fondamentali ma giocoforza parziali in un sistema di disuguaglianza strutturale, incapaci di incidere sulla società e sul corso della storia, né in ultima istanza sul benessere e l’appagamento concreto degli individui.
Il partito dei lavoratori si smarca dunque da chi cerca di tracciare false linee di demarcazione tra il progressismo astratto ed il conservatorismo. La sua posizione è autonoma, contro ogni visione idealista e a-classista; contro l’attacco europeo ai lavoratori salariati oppone il suo punto di vista indipendente è legato sempre all’analisi concreta dei rapporti sociali e economici che strutturano la società in una sua determinata fase in un suo determinato contesto storico nazionale in relazione al contesto internazionale dato.
(1) Palmiro Togliatti, da “Intervista a Nuovi argomenti”, 1956
[…] il lavoro è sotto attacco è la classe operaia la prima a cadere sotto la scure della repressione, nelle persone dei suoi […]
[…] l’invasione prevista di capitali richiede l’oppressione del lavoro, e da questo punto di vista l’attacco è a uno stadio estremamente …. L’UE sta diventando insomma, a un livello superiore, quello che gli Stati borghesi europei […]