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La caduta del Muro e le sue conseguenze

Caduta del Muro di Berlino

di Alberto Ferretti

A 25 anni dalla restaurazione del capitalismo, simbolizzata dalla caduta del Muro di Berlino, i paesi dell’Europa dell’Est si ritrovano impantanati in una grave spirale di deindustrializzazione, disoccupazione, crisi economica, crollo demografico, emigrazione di massa, guerre civili, crollo dell’aspettativa di vita. Tutti segnali chiari, almeno per chi vuol vederli, del terribile declino cui sono state condannate queste società.

Solo un pugno di ricchi sta approfittando della situazione: in effetti, dal loro punto di vista, la vita è bella. Per tutti gli altri invece il crollo delle condizioni di vita è stato così drammatico che ogni sorta di xenophobia, razzismo, violenza, nazionalismo sta proliferando sul terreno del malessere sociale imperante.

Per cercare di giustificare questo fallimento storico, le classi dirigenti dei paesi dell’Est, spalleggiate dai nostri media e dai nostri governanti, resuscitano regolarmente lo spettro del comunismo. Il disastro è infatti talmente esteso che hanno bisogno di celebrazioni sempre più pompose – come quelle della caduta del Muro o dell’unificazione della Germania – per raccontare al popolo oggi quanto erano cattivi i comunisti e quanto si stesse male all’epoca, e che quindi non è il caso di lamentarsi troppo.

Peccato che – messa da parte quella combriccola saccente formata da giornalisti, intellettuali, uomini d’affari, scrittori, avvocati, sedicenti difensori dei diritti umani, propagatori di questa visione distorta della realtà – la maggioranza della popolazione, in grado per età di fare un paragone tra il presente e il passato, rimpianga il socialismo. Ovviamente, questa parte della popolazione è silenziata, inascoltata, non trova spazio di espressione nei media, poiché la sua sensibilità è contraria alla visione del mondo pregiudizialmente costruita dalle televisioni e dai giornali.

A causa di questa scientifica disinformazione, l’opinione pubblica occidentale è indotta a credere che lo stato pietoso in cui versano i paesi dell’Est oggi sarebbe ancora da imputare al socialismo di ieri, sebbene esso sia scomparso da un quarto di secolo. In tal modo il capitalismo nasconde il suo fallimento: in 25 anni esso ha generato la regressione sistematica in tutti i campi della vita sociale.

Eppure i capitalisti non hanno scuse. Per fare un paragone, a 25 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, il socialismo incarnato dall’URSS vinceva la battaglia di Stalingrado e iniziava la liberazione dei popoli europei dal giogo del fascismo, aveva costruito uno dei sistemi industriali più estesi e innovativi del globo partendo da zero, modernizzato territori immensi che si estendevano dall’Europa all’Asia centrale, storicamente più che arretrati.

Come risultato di questi progressi, la demografia era in pieno boom, le condizioni di esistenza – dalla salute all’istruzione universale, dalla previdenza sociale alla cultura, all’aspettativa di vita – conobbero un miglioramento mai visto prima, e questo nonostante l’URSS avesse subito due terribili aggressioni militari da parte delle potenze capitalistiche, isteriche all’epoca come oggi di fronte al successo dell’economia pianificata. Questa eredità e ricchezza lasciata dal socialismo è stata spazzata via dal capitalismo post ’89: non resta oggi che terra bruciata. Ecco la grande differenza tra il potere borghese e il potere operaio, basata sui fatti storici, non sulle chiacchiere giornalistiche e su scuse non richieste.

Ciò potrebbe bastare per giudicare quale dei due sistemi sia superiore all’altro, e quanto poco ci sia da festeggiare per la caduta del Muro. Ma per chi ancora avesse dubbi, guardi con attenzione oggi all’esempio di due paesi che si trovavano, alla fine degli anni ’40, nelle stesse (miserabili) condizioni di partenza.

Uno scelse la via del capitalismo, e si trova nel 2015 sprofondato nella più grande miseria – si tratta dell’India, dove l’indice di povertà e la speranza di vita è inferiore persino all’Africa sub-shariana. L’altro scelse il socialismo ed è attualmente la seconda potenza economica mondiale; le condizioni di vita dei suoi cittadini si avvicinano a quelle dei paesi europei: si tratta della Repubblica popolare cinese, governata dal Partito comunista.

Tra l’India e la Cina esiste ormai un divario così sconvolgente che nessuno osa più fare paragoni, sarebbe una crudeltà troppo impietosa, un’eccessiva brutta figura per la “preferita” del mainstream occidentale: l’India. Essa sarà un eterno paese in via di sviluppo, dipendente dalla magnanimità della nazioni colonizzatrici occidentali, mentre la Cina popolare è solidamente avviata sui binari dello sviluppo autonomo e della prosperità. Per questo ha cattiva reputazione ed è attaccata quotidianamente dai media, come lo fu l’URSS finché non ebbero la sua pelle, sia da destra che da sinistra. La sua colpa è di non essere un nostro docile vassallo, di realizzare il socialismo, mentre l’India delle caste e della miseria diffusa è descritta in termini benevoli e gode dell’immagine positiva in quanto servo accomodante e obbediente.

Tre grandi esempi storici dunque – l’URSS, l’Europa dell’Est e la Cina – confermano gli stessi risultati: il socialismo porta il progresso dove la Rivoluzione vince. I capitalisti lo sanno (al contrario delle nuove sinistre radicali e dei socialdemocratici che si bevono la loro propaganda a piene mani), ecco perché il socialismo è demonizzato in maniera isterica su tutti i fronti: perché funziona, quando espropria del potere le classi padronali, le quali invece ritengono essere indispensabili alla condotta degli affari del Mondo.

Ciò è falso: le società possono fare tranquillamente a meno dei capitalisti per progredire, e la storia lo dimostra. Ecco perché le vecchie classi padronali sono attaccate come sanguisughe al potere e criminalizzano ogni vera esperienza di potere operaio realizzato, con l’appoggio degli utili idioti di sinistra.

L’importante, di fronte al capovolgimento della realtà che esse operano, confrontati al lavaggio del cervello quotidiano dei mass media, è essere lucidi e sapere da che parte stare, e per noi non ci sono dubbi in proposito.

5 Replies to “La caduta del Muro e le sue conseguenze”

  1. CriticaComunista says: 10 Novembre 2015 at 19:01

    Bisogna sottolineare però, gli errori di quei sistemi (come l’eccessiva burocrazia). Non era roba da poco, anche se non meritavano di cadere così male (lasciando ferite aperte e mai sanate). Oggi certamente stanno peggio (almeno i poveri). L’ho scritto e riscritto, si sente la mancanza e magari il bisogno di un contrappeso agli eccessi del Liberalismo. Un’opposizione che oggi non c’è…

    1. Alberto F says: 10 Novembre 2015 at 20:26

      Non si tratta di idealizzare il socialismo reale nascondendone i difetti, gli errori e le imperfezioni infatti. Non si fa un favore al socialismo senza autocritica e l’abbiamo scritto spesso. Non si possono però lasciar passare le menzogne dei media senza degna contestualizzazione storica.

      1. CriticaComunista says: 10 Novembre 2015 at 20:28

        Certo, ma oramai è passato! Occorre ripartire dalla base: Marx ed Engels!

        1. Alberto F says: 10 Novembre 2015 at 20:32

          E dalle esperienze storiche del socialismo realizzato, in ogni caso vivevano meglio allora che oggi, questo è un dato di fatto

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