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I gulag e la propaganda anti-comunista e

gulag

di Alberto Ferretti

Dal 1989 al 1991 il volto dell’Unione sovietica e degli stati dell’Europa centrale fu transformato. I governi comunisti furono rovesciati, e larghi strati della loro economia statale smantellati e svenduti a privati. Il regime a partito unico [in URSS e i Fronti Popolari diretti dai partiti operai nell’Europa dell’Est n.d.t] furono rimpiazzati da sistemi parlamentari multipartito. Per i dirigenti occidentali che avevano lavorato infaticabilmente ad abbattere il comunismo il sogno divenne realtà.

Alcuni pretendono che il rovesciamento del comunismo fu una vittoria per la democrazia; si trattava piuttosto di una vittoria per il capitalismo e per l’anticomunismo più conservatore. Il merito ricadeva in gran parte sulla CIA e sulle altre agenzie da Guerra fredda, come la National endowement for Democracy,  la AFL-CIO, la Ford Foundation, la Rockefeller brothers found, la Pew charitable trust e altri gruppi di destra, i quali hanno finanziato per decenni le organizzazioni politiche e le pubblicazioni anticomuniste, partigiane dell’economia di mercato, in tutta l’Europa dell’Est e in URSS, in quella che divenne rapidamente la catena di « rivoluzioni » più finanziata della storia.

Come sappiamo, i cambiamenti si produssero senza violenza. Come poteva affermare Leac Walesa nel novembre 1989, Solidarnosc in Polonia aveva rovesciato il governo comunista senza rompere nemmeno una finestra. Ciò la dice lunga sul governo che era stato rovesciato, oltre che sui ribelli. I comunisti, invece di agire come i dirigenti sostenuti dagli USA in Salvador, Colombia, Zaire o Indonesia – col terrorismo degli squadroni della morte e la repressione di massa – hanno reso il potere senza nemmeno sparare un colpo. La transizione, relativamente pacifica, non corrisponde dunque all’immagine che abbiamo in testa, quella dei pazzi totalitari senza scrupoli pronti a tutto pur di mantenere la loro dominazione su delle popolazioni completamente sottomesse. Ma come mai questi spietatissimi rossi, nel momento decisivo, non hanno agito spietatamente?

Quante vittime ? La propaganda anti-comunista al suo apice

Ne abbiamo sentiti di racconti sui terribili rossi senza pietà, a cominciare dalla madre di tutte le storie: il regno del terrore e della repressione istituito in URSS sotto Joseph Stalin (1929-1953). Le stime su coloro che perirono sotto la direzione di Stalin – basate essenzialmente su speculazioni di autori che non hanno mai rivelato come siano arrivati a tali cifre – variano enormemente. Roy Medvedev stima così le vittime di Stalin tra i 5 e i 7 milioni; Olga Shtunovskaia ne rivendica 19.8 milioni per il solo periodo 1935-1940; Stephen Cohen arriva a 9 milioni nel 1939, con 3 milioni di persone giustiziate o morte per maltrattamenti nel periodo 1936-1939 ; e Arthur Koestler ci parla di 20/25 milioni di persone. Di recente, William Rusher, del Clearmont Institute, evoca le « 100 milioni di persone giustiziate senza ragione dai dittatori comunisti dalla Rivoluzione Bolscevica del 1917 » (Oakland Tribune, 22 gennaio 1996) e Richard Lourie accusa il periodo di Stalin di essere genericamente all’origine del « massacro di milioni di individui » (New York Times, 4 agosto 1996).

Senza documenti in appoggio, queste « stime » arbitrarie ci invitano a concludere che la somma totale delle persone incarcerate nei campi di lavoro su un periodo di 32 anni (prendendo in conto il tasso di rinnovo, le morti e le liberazioni dei prigionieri) avrebbe rappresentato una parte enorme della popolazione sovietica. L’organizzazione e il mantenimento dei gulag (tutti i campi di lavoro, le colonie di lavoro, e le prigioni del sistema sovietico) avrebbe costituito così la più grande, se non la sola realizzazione della storia dell’URSS e il suo unico fine.

In assenza di prove affidabili, ci si è abbeverati di aneddoti, come la storia che ci racconta Winston Churchill: egli domandò un giorno a Stalin quante persone fossero morte durante la carestia. Secondo Churchill, il dirigente sovietico gli rispose alzando le due mani. Di per sé, un tale gesto potrebbe aver significato la volontà di non parlare della questione. Ma dato che Stalin, come molti di noi, pare avesse cinque dita in ogni mano, Churchill concluse – senza domandare ulteriori chiarificazioni – che Stalin gli stesse confessando 10 milioni di vittime. Vi risulta credibile che un capo di Stato (in più uno enigmatico come Stalin) faccia un tale confessione, con tanta disinvoltura, a un altro capo di Stato? Ad oggi, gli autori occidentali trattano questa storia fumosa come una confessione chiara e netta delle presunte atrocità staliniane di massa.

Nei fatti, quello che sappiamo delle purghe di Stalin, è che la maggior parte delle vittime erano quadri del partito comunista, dirigenti e ufficiali dell’esercito, che il dittatore giudicava fosse necessario incarcerare o liquidare. Inoltre, delle categorie intere della popolazione che Stalin considerava di dubbia lealtà – i Tedeschi, i Cosacchi, i Tatari di Crimea – furono spostate all’interno del paese. Sebbene non abbiano mai visto un campo di lavoro, furono oggetto di deportazioni in Asia Centrale e in Siberia.

È evidente che dei crimini di Stato furono commessi nei paesi comunisti e che numerosi prigionieri politici furono ingiustamente internati o assassinati. Ma le cifre gonfiate da certi universitari della Guerra fredda non servono ne la verita storica ne la causa della giustizia: esse contribuiscono piuttosto a rinforzare la paura istintiva e l’odio verso i terribili rossi.

Nel 1993, per la prima volta, gli storici ebbero accesso agli archivi della polizia sovietica, segreti fino ad allora, e furono in grado di stabilire delle stime solidamente documentate della popolazione incarcerata nella prigioni e nei campi di lavoro dell’URSS. Essi trovarono che la popolazione totale incarcerata nei gulag in gennaio 1939, cioè verso la fine della Grandi Purghe, si elevava a 2 022 976 persone. È precisamente in quella data che iniziava una purga dei purgatori, comprendente un certo numero di responsabili dei servizi d’informazione, della polizia segreta (NKDV) e dei membri della giustizia così come di altre commissioni d’inchiesta, che furono tenuti per responsabili degli eccessi del terrore nonostante le loro poteste di fedeltà verso il regime.

Quel che è certo è che i campi di lavoro sovietici non erano campi della morte, come quelli che i nazisti misero in piedi in tutta Europa. Non vi era lo sterminio sistematico dei prigionieri, nessuna camera a gas o forno crematorio per sbarazzarsi dei milioni di corpi. Nonostante le condizioni estremamente difficili, la stragrande maggioranza dei prigionier sopravviveva e ritornava nella società civile grazie alle frequenti amnistie o semplicemente quando le loro pene giungevano a termine. Sempre secondo gli archivi, nel corso di un anno tra il 20 e il 40 % dei prigionieri era liberato. Tuttavia, nascondendo questi fatti al grande pubblico, il corrispondente a Mosca del New York Times continua a descrivere il gulag come il « più grande sistema di campi della morte della storia moderna ».

Circa un milione di prigionieri dei gulag fu liberato durante la Seconda Guerra mondiale e servì nell’esercito. Gli archivi rivelano che più della metà di tutti i morti del gulag per il periodo 1934-1953 si contano negli anni della guerra (1941-1945), essenzialmente a causa di malnutrizione, in un periodo in cui le privazioni raggiungevano un livello critico per l’insieme della popolazione sovietica (circa 22 milioni di cittadini sovietici morirono durante la guerra). Nel 1944 ad esempio, il tasso di mortalità nei campi di lavoro era di 92 per 1000. Nel 1953, con la ripresa del dopoguerra, il tasso di mortalità era caduto a 3 su 1000.

Tutti i prigionieri dei gulag devono essere considerati come vittime della repressione rossa? Contrariamente a ciò che ci viene fatto credere, coloro che erano imprigionati per crimini politici (« oltraggio contro-rivoluzionario ») erano tra il 12 e il 33% della popolazione carceraria, una proporzione variabile a seconda degli anni. In realtà, la stragrande maggioranza dei prigionieri era accusata di delitti non-politici: omicidio, aggressione, furto, banditismo, contrabbando, truffa e altri delitti punibili in ogni società.

Il numero totale delle esecuzioni dal 1921 al 1953, su un periodo di 33 anni, si eleva a 799 455. Nessuna analisi dettagliata fu realizzata dai ricercatori su tale cifra. Questo numero comprende dunque tutti i colpevoli di delitti capitali non-politici, così come i colpevoli di collaborazione con l’invasione capitalista occidentale e in seguito con le atrocità dell’Armata Bianca. Comprende ugualmente il numero considerevole di persone che collaborarono con i nazisti durante al Seconda Guerra mondiale e probabilmente dei prigionieri SS. È evidente dunque che il massacro di oppositori politici non si contava in milioni o decine di milioni – il che non vuol dire che le cifre reali siano senza importanza o giustificabili.

I tre storici che studiarono questi dati fin qui segreti hanno concluso che il numero di vittime era decisamente più basso di quello abitualmente presentato in Occidente. Tali conclusioni furono tuttavia derise, ad esempio, dal liberale anticomunista Adam Hochschild, il quale preferisce ripetere la storiella di Churchill (New York Times, 8 maggio 1996). Come tanti altri, egli non ha nessun problema ad accettare le speculazioni gonfiate ad arte e non documentate sui gulag, ma molta difficoltà ad accettare i risultati scientifici basati sullo studio certosino degli archivi del NKVD.

Dove sono spariti i gulag?

Alcuni autori anticomunisti russi come Soljenitsyne e Sakharov, oltre ai tanti liberali anticomunisti americani, sostengono che i gulag fossero esistiti fino agli ultimi giorni dell’URSS. Se questo è il caso, ebbene dove si sarebbero volatilizzati dopo la caduta del comunismo? Sappiamo, secondo gli studi precedentemente citati, che dopo la morte di Stalin più della metà dei prigionieri dell’epoca fu liberata [amnistia del 1953 n.d.t]. Ma se così tante persone continuavano a essere incarcerate anche dopo la morte di Stalin, per quale ragione erano diventate invisibili? Dove erano le orde di internati mezze morte di fame che uscivano dai campi di concentramento dopo la caduta del comunismo coi loro terribili racconti ?

Uno degli ultimi campi di lavoro sovietico, Perm 35 fu oggetto di una visita nel 1989 di una commissione di repubblicani USA e un’altra volta nel 1990 da giornalisti francesi (cf. Washington Post, 28 novembre 1989 e National Geographic, marzo 1990). Le due delegazioni non vi trovarono che una decina di prigionieri, di cui alcuni che furono indentificati inequivocabilmente come spie. Altri erano « refuznik » ai quali si negava il diritto di emigrare. I prigionieri lavoravano otto ore al giorno, sei giorni a settimana, per un salario di 250 rubli (40 dollari) al mese.

Che fine avevano fatto poi le masse di prigionieri politici che si supponeva dovessero per forza esistere negli altri “stati polizieschi totalitari comunisti” della Europa dell’Est? E per quale ragione non vi era nessuna prova della loro liberazione di massa durante la transizione dal comunismo al capitalismo? […]

Se come raccontano vi furono della atrocità di massa fino agli ultimi momenti del comunismo, per quale ragione i regimi anticomunisti nuovi di zecca non colsero l’opportunità di perseguire in giustizia i dirigenti comunisti di ieri? Per quale ragione non vi fu nessun processo pubblico sul genere di Norimberga che rivelasse le atrocità generalizzate? Per quale ragione centinaia di dirigenti del partito e responsabili della sicurezza e migliaia di guardiani dei campi non furono arrestati e giudicati per le milioni di persone che avrebbero sterminato? […]

Insomma è chiaro la maggior parte di coloro che furono incarcerati nei « gulag dell’URSS» non erano prigionieri politici, e la stessa cosa vale per i detenuti degli altri stati comunisti dell’Est. Nel 1989, quando il drammaturgo miliardario Vaclav Havel divenne presidente della Cecoslovacchia, accordò un’amnistia a quasi i due terzi della popolazione carceraria del paese, la quale tuttavia non si contava in milioni, ma piuttosto in migliaia. Havel affermava che la maggior parte della persone incarcerate sotto il regime comunista fosse vittima della repressione politica, e meritava dunque di essere liberata. Ebbene, egli e i suoi accoliti furono inorriditi nel constatare che la gran parte di coloro che furono rimessi in libertà non erano altro che criminali notori, dalla fedina penale ben riempita. E questi criminali non ebbero bisogno di molto tempo per riprendere la loro losche attività (New York Times, 18 dicembre 1991).


*Questo articolo è un estratto del capitolo IV del libro di Michael Parenti, Blackshirts and Reds: Rational Fascism and the Overthrow of Communism, City Lights Publishers, 2001 (Disponibile anche nell’edizione francese sotto il titolo Le mythe des jumeaux totalitaires, Fascisme méthodique et renversement du communisme, Les édition Delga, 2013).

Lo studio cui si fa riferimento nel testo : J. Arch Getty, Gabor Rittersporn et Victor Zemskov, ” Victims of the Soviet penal system in the pre-war years : a first approach on the basis of archival evidence “, American Historical review, p. 98 (october 1993), pp. 1017-1049. Disponibile qui : link http://www.cercec.fr/materiaux/doc_membres/Gabor%20RITTERSPORN/Victims%20of%20the%20Gulag.pdf

2 Replies to “I gulag e la propaganda anti-comunista e”

  1. Memoria a orologeria – Ottobre says: 11 Ottobre 2015 at 18:56

    […] i media sempre solleciti nel descriverci in lungo e in largo i cosiddetti crimini del comunismo (falsificandoli per lo più), “dimenticano” sistematicamente di celebrare i massacri praticati dai loro padroni, come […]

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